Il primo di maggio 1814 così racconta di
sé la povera Giovanna Felice. Dopo ricevuta la santa Comunione, fui sorpresa da
interna quiete, da tocco interno fu il mio spirito non solo invitato, ma
obbligato dal mio Dio ad inoltrarmi nella sua immensità. Qual cognizioni
conobbi il gran bene dell’uomo per queta divina immensità, un sì gran Dio sta
sempre presente a noi, i quali siamo non solo vicini a sì amabile immensa
bellezza, ma siamo abbracciati da lui, e tutti penetrati. Fui come ingolfata
nell’immensità di Dio, mi trovai tutta piena di Dio, conobbi che dio assiste a
tutto, osservando quanto si fa, dando le forze perché si faccia, concorrendo e
coadiuvando a quanto si opera. Dio sta sempre congiunto ai miei occhi, per farmi
vedere, alle mie orecchie per farmi udire, alla mia mente per farmi pensare, al
mio cuore per farmi amare.
O somma felicità mia, o amore infinito! mi sento dare la felice nova che
mai, mai mi sarei divisa da lui, mentre io per necessità a lui per volontà
siamo intimamente uniti e congiunti insieme.
Il dì 3 maggio 1814 nel fare l’orazione mentale, la mattina subito levata,
così la povera Giovanna Felice.Mi pongo alla presenza di dio, e al momento mi sento
sopraffare dallo Spirito del Signore. Mi trovo tutta in Dio, quando da
particolare cognizione mi si siede a conoscere quali pene, quali ambascie abbia
provato il Cuore santissimo di Gesù per le offese che si sarebbero commesse dai
suoi eletti. Eccomi dunque immersa in questo mare vastissimo di amore e di
amarezza! Andava la povera anima mia immergendosi in queste acque amorose e
insieme dolorose; conoscevo gli affanni, le pene di questo afflitto cuore, e io
mi sentivo morire dalla pena e dall’afflizione. L’amore doloros faceva mia la
pena sua; mi dimostrava la compiacenza che prendeva il suo amoroso cuore nel
patire per amore, e questa compiacenzqa rendeva contento il mio pover cuore, e
l’amore faceva mia la compiacenza sua. Quando in questa vastità di affetti mi
sono profondata, somma attenzione ho usato per rintracciare gli affanni, le
pene che la mia ingratitudine ha cagionato all’amoroso cuore di Gesù. Con la
grazia del Signore, li ho potuti rintracciare. Oh, qual dolore, quale
afflizione cagionò alla povera anima mia la cognizione di tanto mal fatto,
contro un Dio tanto buono! mi pareva dalla pena di agonizzare. Mi si rende
impossibile manifestare di qual tempra fosse questa afflizione, mentre dalla
grawia mi veniva infusa tanta e sì tremenda apprensione. In qualche maniera si
doveva rassomigliare a quella pena che soffrì il buon Gesù nell’Orto.
Dopo qualche tempo raccolsi, alla meglio che mi fu possibile, le forze, per
portarmi in chiesa per fare la santa Comunione. Mi pongo alla balaustra in
ginocchioni; al momento dalla gravosa pena passo a godere la quiete più intima
che mai possa immaginarsi. In questa quiete il mio Dio mi dà a vedere quale
parte occupa la povera anima mia del suo mistico corpo; mi fece conoscere che
occupava la sua mano destra occupava il suo occhio destro, occupava il suo
Cuore. Mi fece intendere che amava la povera anima mia quanto si può amare
membri sì cari, come sono la mano, l’occhio, il cuore, mi fece intendere
l’intima unione che passa con la povera anima mia.
A simili cognizioni qual mi restassi, non lo posso spiegare, veramente in
qualche maniera posso dire di avere sperimentato quegli effetti che si possono
sperimentare da membri sì cari, congiunti a corpo nobilissimo, santissimo.
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