Dal giorno 3 maggio, tutto il giorno 11
del suddetto mese non posso spiegare quali e quante siano state le grazie
ricevute, mentre per la sublimità di queste non ho termini di spiegare, come
ancora per l’occultezza in cui mi è comunicato lo Spirito del Signore, che non
è stato neppure a me permesso di penetrare, di conoscere la sublimità del dono;
ma i buoni effetti che hanno cagionato in me dimostrano il favore straordinario
della predilezione di un Dio amante di me, sua poverissima creatura. Tutti
questi giorni posso dire di essere stata più o meno sempre assorta in Dio. Ho
passato certi momenti che mi credevo di restare come stemperata, come
liquefatta dall’amore, tanta era la forza, tanta la violenza dell’affetto del
cuore, che mi faceva gridare: «Basta, mio Dio, basta, non più».
Mi sentivo come venir meno: ora mi sentivo una vivacità di spirito che
speditamente cercavo di andare al mio Dio, questa vivacità faceva violenza al corpo
o di abbandonarlo, ovvero condurlo presso di sé, per la veemenza mi sentivo
come sollevare; ora restavo alienata dai sensi, e come morto restava il corpo;
ero sopraffatta da interna dolcezza, questa cagionava una soavità tanto grande
che venivo meno, e placidamente cadevo in terra.
Il dì 16 maggio 1814 la povera Giovanna Felice così racconta di sé. Nella
santa Comunione sono stata condotta nei gabinetti del sommo mio Re, dove ho
veduto il sommo Dio assiso sopra al real trono; ho veduto magnifica tavola,
guarnita di prezioso tappeto, sopra di questa ho veduto sette libri di
smisurata grandezza, custodi di questi erano sette personaggi sublimissimi,
dotati di somma sapienza; sono restata ammirata a tanta magnificenza. Ho
domandato cosa contenessero quei smisurati libri, mi è stato fatto intendere
che contenevano le divine scienze. Uno di quei sovrani custodi ha aperto il suo
libro, e mi ha invitato a leggere, non avrei ardire di approssimarmi a quella
magnifica tavola, se il sovrano mio Re non mi avesse benignamente invitato, con
le espressioni più affettuose dell’infinito
Il dì 17 maggio 1814 la povera Giovanna Felice così racconta di sé. Nella
santa Comunione sono stata per la seconda volta condotta nei gabinetti del
sovrano mio re. Per divino favore mi è stato permesso di tornare a leggere i
suddetti libri; mi sono state donate le tre disposizioni surriferite: di
purità, di semplicità, di solitudine; di quale semplicità, di quale solitudine
intendo dire vostra paternità molto bene m’intende.
Dio medesimo si è degnato di ammaestrarmi, in quel momento mi ha donato
tanto di sapienza, perché potessi conoscere per qual fine Dio mi ha creato,
cosa invero comune a tutti; ma, oh Dio, quanto diversa è stata la cognizione
che mi ha comunicato il mio amoroso Signore!
A queste cognizioni in quali amorosi accenti proruppe il mio povero spirito
verso il suo amoroso Signore! ai diversi affetti il cuore restava come
liquefatto. Oh, quanta compiacenza prendeva il mio Dio nel vedermi quasi
distrutta per amore! Di quale unione mi degnò è impossibile manifestarlo.
Divenni per parte dell’intima unione oggetto delle compiacenze di un Dio
eterno, infinito, onnipotente
L’intima unione mi meritò di essere preferita a tutto il resto delle
creature. Con somma chiarezza il mio Signore mi fece intendere che ama assai
più un’anima intimamente a lui unita, di quello che ami il resto delle
creature. Nel trovarmi sollevata a posto sì sublime, senza alcun merito, ma con
tutto il demerito mai immaginabile, cercavo di annientare me stessa con la
umiliazione, con la gratitudine, con l’amore.
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