13 – UN SOLE PIÙ BELLO DEL
NOSTRO
Il 24 maggio 1814, in occasione del
ritorno del nostro Santo Padre in Roma, Papa Pio VII, la povera Giovanna Felice
così racconta. Mi portai alle quarant’ore a Sant’Isidoro, due ore prima del
mezzogiorno, e mi trattenni fino alle ore ventuno, sette ore continue passai in
orazioni, ad oggetto di ottenere la grazia che niente di sinistro fosse
accaduto in questa giornata di tanto gaudio.
Il Signore si degnò esaudire le mie poverissime orazioni, in quelle sette
ore, perché il maligno insidiatore perturbar non potesse il giubilo dei buoni
cattolici, lo rilegò nei cupi abissi; accertata che fui di questa misericordia,
mi abbandonai in Dio, acciò avesse fatto di me quello che gli piaceva, non
avendo altro desiderio che di piacere a questo buon Dio, gli offrivo mille
volte la vita alla sua maggior gloria, quando ad un tratto fui ricondotto per
la terza volta a penetrare i preziosi gabinetti del sovrano mio re. Mi venne
accordata la grazia di leggere i divini libri suddetti. Quali intelligenze,
quali ammaestramenti, quali doni, mi vennero compartiti dal divino Spirito, che
particolarmente mi favorì, giacché unitamente e divisamente, o dico meglio
particolarmente, ho ricevuto grazie dal sommo Dio tutte e tre le volte che sono
stata condotta in questo luogo. La prima volta sono stata favorita
distintamente dal divin Padre, la seconda volta dal divin Figlio, la terza dal
divino Spirito.
Dal giorno 24, come già dissi, mi sono mancate le forze sensibili, come
infermo restò il mio corpo dopo questa comunicazione, e tuttora soffre una
debolezza come ai sensi gli mancasse la vivacità. Questo male, se pur male si
può chiamare, non pena, ma consolazione reca al mio cuore.
Mio Dio, devo confessare, a mia maggior confusione, che è virtù della
grazia vostra la situazione in cui si trova il mio spirito. Ma che mi
serviranno tante misericordie, se io, ingrata, non corrispondo? Mio Dio, o
levatemi la vita, o datemi la grazia di corrispondere alle vostre infinite misericordie.
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