Al dì 4 giugno la povera Giovanna Felice
nella santa Comunione così rcconta. Al riflesso della misericordia che Dio ha
usato verso di me, si confondeva il mio spirito, e struggevasi di amore in lacrime,
nel vedermi tanto ingrata verso il mio amoroso Signore; giacché sono 10 anni
oggi, vigilia della Santissima Trinità che mi consacrai al mio Signore, con
voto di castità, come si disse al suo rispettivo luogo.
Ero tutta intenta a chiedere perdono al mio Signore, chiedevo in grazia di
morire, o che degnato si fosse darmi la corrispondenza, vedo apparire i santi
patriarchi Felice e Giovanni de Matha, questi gloriosi santi mi facevano
coraggio a sperare nella infinita bontà di Dio. M’invitavano ad inoltrarmi veso
il sommo Dio, ma un santo timore m’impediva di andare liberamente, quando si è
veduta apparire la gran Madre di Dio, tutta amore mi animava a sperare negli
alti meriti di Gesù Cristo, e per special favore mi dava a tenere il lembo del
suo prezioso manto.
Accompagnata da questi tre incliti personaggi, mi sono presentata al sommo
Dio, prostrata mi sono umile e riverente all’augusto suo trono, piena di timore
non ardivo parlare. I santi patriarchi hanno esposto i miei desideri, con somma
compiacenza sono stati ricevuti dal mio Signore, in segno di gratitudine
m’invitava ad approssimarmi verso di lui, m’invitava a scrivere con il suo
prezioso sangue, che spruzzava dal suo purissimo cuore, i miei sentimenti, il mio
spirito si è riempito di santo orrore, umilmente ho ricusato di fare ciò; mi ha
poi dato a vedere come il fuoco della sua carità fa incendiare l’amoroso suo
cuore.
Nel vedere cosa così prodigiosa, restavo sopraffatta dall’ammirazione e rapita
dall’amore, quando torani in me stessa pensai che non potevo senza licenza del
mio padre, non potevo scrivere, ne volli una precisa dichiarazione da vostra
paternità, per potermi regolare in altra occasione.
Mi porto alla mia casa, senza essere molto presente a me stessa, mi pongo a
lavorare, dopo breve tempo mi cade il lavoro dalle mani; tornò a sopirsi lo
spirito, intesi al momento inondarmi di dolcezza il cuore, di questa interna
dolcezza ne godeva anche il corpo; quando mi trovo nella suddetta situazione:
«Vieni», sentivo dire, «vieni, o bella figlia di Sion, vieni a ricevere gli
alti favori di un Dio amante».
A questi amorosi inviti si è inoltrata la povera anima mia, tutta amore
tutta carità verso l’amante Signore. Una fiducia filiale comunicava al mio
cuore una purità, una semplicità, una umiltà, tanto bene ordinata, che neppure
io che la possedevo ne conoscevo la grandezza.
«Mio Dio», gli dicevo, «non vuole il mio padre che tanto mi ardisca scrivere
con il vostro sangue i miei sentimenti, mi ha detto però, che vi preghi, acciò
vi degnate di scrivere nel mio cuore l’obblgo che mi corre di amarvi».
A queste parole il mio Signore si degnò fare una impressione sopra il suo
cuore e sopra il mio, poi unì i due cuori, e in questa unione si cambiarono le
impressioni, la sua s’impresse nel mio, e la mia s’impresse nel suo.
A queste due impressioni, una di amore e l’altra di unione, quale restassi
non so spiegarlo, mi mancò quasi l’uso di ragione. Passai tutto il resto della
giornata in una continua comunicazione. Il mio Dio per ben tre volte mi degnò
di unirmi a lui intimamte. La prima fu nella santa Comunione, come già dissi,
la seconda fu due ore dopo il mezzogiorno, dopo aver ricevuto questo gran bene,
raccomandai caldamente al mio Signore tutte le persone che mi somministrano
qualche carità, si degnò esaudire le mie povere preghiere. Benedì con special
benedizione tutti i miei benefattori, e mi promise ancora che tutti quelli che
mi avessero aiutato sarebbero benedetti dal suo celeste Padre con l’eterna
benedizione.
Tre ore e mezza dopo il mezzogiorno si andò a pranzo. Usai cibarmi per
abito, senza perdere la viva presenza di Dio. Buono per me, che subito dopo il
pranzo, tutti se ne andarono in giardino, e mi lasciarono sola, in questo tempo
fui nuovamente assorbita dal mio Signore, come assorbita viene la nebbia dai
raggi del sole; questa comunicazione così violenta, mise in convulsioni il corpo,
dopo essersi dibattuto, privo affatto di senso restò, per pura misericordia di
Dio, nessuno si avvide di quanto era seguito in me, poca e niente forza restò
al mio corpo.
Ebbi molta pena per andare in chiesa alla novena della SS. Trinità. Nel
tempo che si faceva la novena, fui sorpresa da profondo sonno, ma il mio
spirito era vigilante, e in questo tempo godeva un bene che non so spiegare, un
interno fuoco mi pareva che m’incendiasse, mi sentivo propriamente bruciare le
viscere, mi pareva mi cagionasse la morte, tanto era l’ardore, la vampa della
carità che mi venne somministrata dalla grazia.
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