Il dì 5 luglio 1814 nella santa Comunione,
la povera Giovanna Felice così racconta di sé. Ero tutta intenta a piangere le
mie colpe, pensando quanto disonore, quanto disgusto abbia recato alla bontà di
Dio il mio spergiuro, gliene domandavo mille volte perdono, piangendo
amaramente, ero trapassata dal dolore, e quasi come morta mi abbandonai in
braccio al dolore. In questo tempo che il mio spirito era come morto, fui
inchiodata da mano invisibile sopra una croce. Mi spiego, non il corpo, ma lo
spirito fu crocifisso misticamente, che è quanto dire furono in me crocifissi
cinque proprie inclinazioni, ossia cinque movimenti di propria volontà, che
devono essere in noi crocifissi per potersi sollevare a Dio, e penetrare, per
mezzo di una certa agilità, le divine perfezioni; e per mezzo di queste cognizioni resta infiammata la volontà
dalla perfetta carità.
Quando fui un poco rinvenuta, mi trovai vestita da Terziaria Trinitaria,
crocifissa sopra la croce, mi erano manifestati i desideri del mio Dio, per
parte di intima intelligenza, per parte di intima cognizione conoscevo i suoi
desideri, i suoi affetti, la sua volontà; sicché, in occulto silenzio, si
intendevamo assai più di quello che intendersi si possono eloquenti parole. Mi
servirò delle parole per spiegare in qualche maniera i sentimenti.
Dopo fatiche e stenti, per la continua molestia che mi dà il nemico
tentatore, che mi vorrebbe impedire l’obbedire il mio confessore, che
assolutamente mi comanda che scriva quanto passa nel mio spirito, la notte del
10 luglio 1814 avevo diversi fogli scritti, pensai di legarli prima di
consegnarli al mio direttore, per vedere se erano in buon ordine. Macché,
quando sono per leggere, invece di leggere i buoni sentimenti che mi aveva
comunicato lo Spirito del Signore, leggo cose contro la fede. Oh Dio, qual pena
provai: «E come va», dicevo, «ho creduto di scrivere cose che rendessero onore
e gloria al mio Dio, e invece leggo cose che molto disonorano Dio».
Nel tempo che ero così perplessa per la diversità degli scritti, sentivo
all’orecchio tanti urlacci di molte voci che mi confondevano, sentivo certi
fischiacci, come quando la plebe disapprova pubblicamente qualche azione, che
fanno urli, fischi per disapprovare, così fece il maligno tentatore, mi aveva
quasi sovvertita, poco mancò che non strappassi in minutissimi pezzi i fogli
scritti. Giudicai il mio padre imprudente e indiscreto, trovandomi in questa
situazione angusta pensai di leggere in tempo più opportuno i suddetti scritti,
piangendo mi rivolsi a Dio.
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