Il dì 19, 20 e 21 agosto 1814 ho dovuto
molto soffrire la povera Giovanna Felice dal tentatore e dai parenti, istigati
da costui. Molte sono le minacce che mi fa il nemico tentatore, perché vorrebbe
che retrocedessi dal cammino intrapreso. Più volte mi ha mostrato la gran
difficoltà di reggere e sostenere due stati. «È impossibile», mi va dicendo,
«che possa unire gli obblighi del matrimonio con gli obblighi che scioccamente
e volontariamente hai contratto con Dio! In punto di morte ti troverai di non
avere a niente adempiuto. Sopra di te è scesa la maledizione di Dio! Hai tempo
a fare! le funeste conseguenze che ne sono venute per il tuo spergiuro non le
puoi rimediare neppure con la tua vita!».
A queste forti suggestioni non so che rispondere, mi umilio, mi anniento,
mi volgo verso il mio Dio, da me tanto offeso, e piangendo amaramente lo chiamo
in aiuto. Nel vedere il nemico che la povera anima mia, con la grazia di Dio,
trova la maniera di umiliarsi, e con fiducia ricorre al suo Dio, fugge
precipitosamente, e così il mio spirito restò nella pace del Signore.
In questa calma, ovvero sopimento che mi donò la grazia del medesimo Dio,
domandai se fosse vero che maledetta da Dio fosse la povera anima mia. Fui
assicurata che era grata al Signore la mia condotta, che con la sua grazia
avevo intrapreso; e che «questa un giorno servirà per confondere tante madri,
che non avranno adempiuto ai loro doveri, servirà di molto rossore a tante
vergini, che, invece di corrispondere con fedeltà a quanto avevano professato,
hanno vissuto alla libera, di sommo rimprovero sarà alle vedove la tua
condotta, o mia diletta figlia, in questa maniera resterò glorificato nella mia
opera».
Dal 22 agosto fino al 26 ho sofferto gravissime desolazioni di spirito, un
abbandono molto penoso, una mestizia, una tetraggine. Diverse volte mi sono
trovata in potere del demonio, priva di ogni aiuto, mi vedevo straziare da Gesù
senza potermi liberare. Mi straziava, mi maltrattava assai più di quello che un
cane mastino strazi e strappi, laceri uno straccio, quando sopraffatto dalla
rabbia, morde rabbiosamente un panno e lo fa in minutissimi pezzi, così fa con
me il demonio, mi maltratta, mi strazia in guisa tale che non mi è possibile
poterlo ridire.
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