20 – NATALE 1814
Dal giorno 18 fino al giorno 24 dicembre
1814 il mio spirito l’ha passata in piangere i propri e gli altrui peccati; ma
tratto tratto ero sopraffatta dalla carità di Gesù Cristo, che mi faceva
languire di amore.
La notte del santissimo Natale, circa le ore sette e mezza italiane, mi
portai alla chiesa del Santissimo Bambino Gesù, per assistere alle sacre
funzioni di quella benedetta notte. Stetti in orazione circa sei ore e mezza,
mi parve questo tempo molto breve. Ecco come passai questo tempo.
Mi prostrai dinanzi al mio Dio, protestando di riconoscermi affatto indegna
di trattenermi in compagnia di tante anime a lui fedeli, per poterlo in quella
santa notte lodare, benedire, ringraziare in compagnia dei santi e degli
Angeli, confessando di essere la creatura più vile che abita la terra,
piangendo, parte per la mia ingratitudine, parte per la gioia che sentivo nel
mio cuore, alla considerazione del grande amore che ci dimostra Dio in donarci
il suo Santissimo Figliolo.
Andava ogni momento più crescendo la gioia del mio cuore, l’intelletto
veniva rischiarato da interna luce e lo spirito si andava ingolfando nella
penetrazione di questo divino mistero, quando sopraffatto dall’immensità
dell’infinito amore di un Dio amante di noi miserabilissime sue creature, si
perdeva il mio povero intelletto in questo vasto oceano dell’infinita carità di
Dio.
Persi in questo tempo ogni idea sensibile, quando da mano invisibile fui
condotta al sacro presepio. Fui condotta sopra un monte, e in certa lontananza
vedevo quel piccolo paradiso. Nel vedere il chiarissimo splendore che
tramandava quel beato tugurio da ogni intorno, che per essere situato alla
falda di un disastroso monte, rendeva luminosa la valle contigua, che ai piedi
del monte restava.Ah già il mio cuore era impaziente di potermi là
approssimare. Ah, non avrei voluto camminare, ma volare, tanto era il trasporto
dell’amore che sentivo verso il nato Signore. Io andavo dicendo tra me: «Voglio
morire ai suoi piedi, per il dolore di averlo offeso».
Intanto l’amore disponeva il mio cuore a fare ogni qualunque sacrificio per
compiacere il divino infante. Non so ridire di qual grado fosse la fede, la
speranza, la carità, l’umiltà, l’obbedienza, la purità, la povertà che mi fu somministrata
dallo Spirito del Signore in quei preziosi momenti. Fui trasmutata in guisa
tale che io più non conoscevo me stessa, senza esagerazione, il mio povero
spirito apprese una idea angelica, che io stessa restavo ammirata, e
nell’ammirazione conoscevo il mio nulla, lodavo e benedicevo l’infinita bontà
di Dio, dando tutto a lui l’onore e la gloria; e intanto mi andavo avvicinando
al beato presepio; vidi quel beato tugurio ripieno di splendidissima luce,
molti erano gli adoratori di quel grazioso infante, vedevo nella suddetta
valle, contigua al beato presepio, come già dissi, ripiena di luce che
tramandava dappertutto l’alta magnificenza del nato Re del cielo, che per amore
dell’uomo si degnò nascere in estrema povertà.
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