Vedevo dunque in questo luogo ogni classe
di persone, vedevo religiosi di ogni ordine, vedevo sacerdoti, monache e
secolari, ma una cosa osservai che nessuna era in corpo, ma i religiosi dei
rispettivi ordini adoravano il divin pargoletto tutti dispersi, chi qua, chi
là, solo i Padri Gesuiti erano tutti uniti, tutti in corpo adoravano il nato
Salvatore, poche monache vedevo, molti religiosi, come già dissi, tutti
dispersi, pochi vescovi, nessun cardinale, nessun prelato, poche dame, molte
donne devote.
Vedevo il nostro Sommo Pontefice vicino al beato presepio, che piangeva e
sospirava, e tramandava dai suoi occhi profluvi di lacrime.
In quel momento ebbi un sentimento interno, e conobbi la cagione del suo
pianto. Piangeva, sospirava raccomandava a Gesù Bambino la santa Chiesa; ma non
fu accettata la sua preghiera. A questa cognizione, mossa dalla carità, benché
mi riconoscessi affatto indegna, ciò nonostante unii le mie povere lacrime e
preghiere a quelle del nostro Santo Padre. Pregai caldamente Gesù Bambino acciò
si volesse degnare di esaudire il suo Vicario; ma niente si ottenne.
Oh, come è sdegnato Dio con la santa Chiesa e con i suoi ministri! Il
divino infante, presa un’aria maestosa e severa, mi fece intendere che la
Chiesa è in stato di punizione, e non c’è chi possa rimuoverlo: il decreto è
già fatto. Mi fece intendere che avessi cessato di pregare per la suddetta, se
non volevo disgustarlo. Mi diceva quel caro Bambino: «Cessa di pregare, o mia
diletta figlia; solo abbi a cuore il mio onore e la mia gloria».
A questa cognizione intellettuale il mio povero spirito cessò di pregare.
Allora il divino infante, presa un’aria piacevole e tutto amore a me rivolto,
mi disse che avessi pur chiesto quello che volevo. La povera anima mia, piena
di confusione per vedermi senza alcun merito tanto favorita da questo amoroso
Signore, mi misi a piangere, e non ardivo parlare, ma umiliandomi gli chiedevo perdono,
ma il divin pargoletto mi obbligò a palesare i miei desideri, la sua
piacevolezza mi dette coraggio, e così presi a parlare: «Ah, Gesù mio, la
grazia che io desidero, voi la sapete! Voglio corrispondere alla vostra grazia.
Ah, Gesù mio, fatemi morire, o fatemi la grazia di corrispondere. Mi è di
troppa pena di non corrispondere. Io non voglio più essere ingrata al vostro
amore. Fatemi morire, o datemi la corrispondenza; e se non basta la morte,
mandatemi all’inferno! Se ho da proseguire ad essere ingrata al vostro amore».
Nel fare simili espressioni, il mio spirito si accendeva di amore verso
Dio, tanto eccessivo era l’amore che più non potevo contenerlo.
Padre mio, io non so ridire i mirabili effetti che cagionò in me questo
eccessivo amore. L’amore mi portava rapidamente a Dio, e Dio si degnava formare
in me le sue più alte compiacenze. In questo felice momento mi promise la
grazia della corrispondenza. Oh, come il mio cuore esultò a questa promessa.
Andava la povera anima mia ripetendo tra sé, piena di gaudio: «Dunque, Gesù
mio, sicuramente corrisponderò alle vostre misericordie! voi me lo avete
promesso, ne avete impegnata la vostra parola! Dunque è certo, anima mia,
rallegrati, che arriverai ad amare un Dio di infinita maestà. Mio Dio, qual
consolazione è la mia! ah, lasciate che fin da questo momento io vi ami una
volta davvero!».
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