Il dì 23 giugno 1815, vigilia del gran
precursore san Giovanni, dopo il pranzo, nel visitare il SS. Sacramento, mi fermai
in questa visita circa due ore e mezzo, un’ora la passai in sopportare le pene
più tormentose che mai dir si possa. La tristezza, la smania, l’affanno,
l’angustia facevano prova di sommergermi. Mi sentivo mancare, mi sentivo venir
meno dalla gran pena. Arrivato che fu lo spirito ad un punto tanto eccessivo
che non poteva più reggere, tutto ad un tratto nacque in me una quiete
veramente prodigiosa, unitamente ad una cognizione vivissima di me stessa.
Presa dunque da umile sentimento, mi annientavo fino al profondo abisso del mio
nulla, conoscendo i miei cattivi portamenti, piangevo amaramente i miei
peccati, e ne domandavo a Dio perdono.
Nel tempo che mi trattenevo in questi umili sentimenti, mi sono trovata
nella strada anzidetta, dove vidi magnifico fabbricato. Si affaticava la povera
anima mia per giungere al magnifico fabbricato; macché! fui assalita da
orribile tentazione contro la santa fede. Mi assalì in una maniera tanto
terribile, che poco mancò che non restassi vinta. Superata e vinta, con la
grazia di Dio, la tentazione, l’anima mia si avvicinò a quel magnifico
fabbricato anzidetto. Ecco nuovamente il tentatore con nuove suggestioni
m’impediva a tutto suo costo di potermi avvicinare al magnifico fabbricato. Il
maligno tentatore mi dava ad intendere che quel luogo era luogo di
superstizione e d’inganno. «Fuggi», mi diceva, «fuggi, non entrare, che
resterai ingannata!».
Alla suggestione del maligno, il mio spirito incominciò a paventare, perché
subito non si avvide che era il tentatore. In mezzo a questa dubbiezza, lo
Spirito del Signore mi accertò del vero, e l’anima mia restò illuminata, e il
tentatore nemico fuggì precipitosamente.
Da mano invisibile fui trasportata nel magnifico fabbricato. Questo
nobilissimo luogo si chiama «mansione del Signore», dove Dio si degna
comunicarsi alle anime sue predilette, che si degna di introdurre colà, non per
merito proprio, ma per solo amore di benevolenza particolare. La povera anima
mia conosce benissimo questa verità; questa cognizione mi è molto giovevole per
profondamente umiliarmi. Vostra paternità m’insegna che non c’è cosa che più
possa umiliar l’uomo che l’essere beneficato senza merito. Mio Dio, quale
umiliazione è per me il vedermi da voi favorita, avendo io demeritato la vostra
grazia con tanta ingratitudine. L’essere da voi contraddistinta con tante
grazie, mi cagiona un continuo annientamento di me stessa. E benché debba
confessare gli alti favori che da voi ricevo con tanta frequenza, pur nonostante
l’anima mia neppure ad una sola creatura si preferisce, ma con tutta la
sincerità del cuore confessa di essere la creatura più vile che abita la terra.
Questa cognizione mi fece ricusare di entrare nella suddetta felice
mansione. Pregai caldamente il Signore che non mi avesse introdotto in quel
luogo, perché dubitavo di oscurare la sua gloria, ma che in mia vece avesse
condotto quelle anime che sono a lui fedeli, protestandomi che avrei tenuto per
sommo favore di abitare il luogo più vile della terra, per piangere le mie
colpe.
Questa mia confessione non raffreddò
l’infinito suo amore, ma servì per renderlo più amante di me. Il mio Dio mi
introdusse dentro la felice mansione, con sommo contento del suo amore.
Entrata che fui in questo luogo, sperimentai in me gli affetti più vivi
della carità di Gesù Cristo. Il gaudio, la dolcezza inondava la povera anima
mia; per speciale favore fui consegnata al gran precursore Giovanni, custode di
questa felice mansione. Il santo precursore era tutto ammantato di luce, tutto
intento a custodire questo luogo; mi ricevette qual sposa di Gesù Cristo.
Grandi furono gli onori che ricevetti dal santo, e da molti santi Angeli, che
quivi erano. Con gran festa e trionfo mi accompagnarono in un magnifico angolo
della suddetta mansione; il santo precursore, dopo avermi dato i documenti più
parziali dell’amore di Dio, disparve, lasciando il mio spirito ripieno di
carità, e notiziato dell’alto favore che Dio era per farmi, per sua infinita
bontà.
L’anima mia a questa notizia esultò, e umile e mansueta stava aspettando il
felice momento di abbracciare l’amato suo sposo, per potersi con lui
perpetuare. Passai tutto il dì 23 suddetto, desiderando ardentemente il felice
momento di potermi unire al mio buon Dio; per essere, in virtù della sua
grazia, totalmente in lui trasformata. Si andava preparando il mio povero cuore
con replicati atti di fede viva, di speranza certa, di carità ardente; il
desiderio veemente mi teneva fuori di me stessa: operavo sensibilmente per
abito, mentre mi mancava la riflessione di tutto ciò che cadeva sotto i miei
sensi.
La povera anima mia se ne stava fissa all’angolo suddetto, aspettando
l’amato suo bene, e impaziente aspettava il felice momento di poterlo
abbracciare. Finalmente il dì 24, mi degnò il mio Dio di una unione tanto
intima, tanto particolare, che io non ho termini per spiegare cosa così
sublime, cosa così parziale. Dico parziale, perché Dio medesimo così la chiamò.
Quello che posso dire è che, dopo la suddetta comunicazione, la povera anima
mia restò tanto innamorata di Dio, che tiene sempre il suo sguardo fisso colà
dove le si comunicò.
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