Erano già trascorsi venticinque anni della mia
età, cinque di matrimonio, quando mi sopraggiunse al male di stomaco una
malattia mortale, che mi ridusse agli estremi della vita. Fu questo l’ultimo
colpo di grazia, che mi destò dal letargo mortale in cui giaceva la povera
anima mia.
Fui dunque sorpresa da febbre putrida
maligna con altri mali complicati; diciannove giorni stetti priva di ogni umano
pensiero, ma il pensiero dell’eternità, in cui sicuramente credevo di dover
passare, teneva tutte impiegate le potenze della mia povera anima. Non cercavo rimedio
al mio male, né di sostentare le mie deboli forze; ma solo, rivolto il mio
cuore al Signore, gli domandavo misericordia e perdono. Prevenuta dalla grazia,
eccessivo era il dolore dei miei peccati, le mie speranze erano nei meriti del
mio Gesù crocifisso, che tenevo sempre stretto nelle mie mani, con questo
sfogavo gli affetti del mio cuore, a questo offrivo tutta me stessa, tutta a
lui mi consacravo in vita e in morte.
In questo tempo non parlavo di altro che
di Dio, non altro cercavo che il mio Gesù, altro non gradivo che il mio
confessore, con lui mi trattenevo con piacere a parlare delle cose appartenenti
alla povera anima mia. Fui assistita da questo ministro del Signore con somma
carità e premura, mi visitava per ben quattro volte al giorno, e pregava i miei
parenti che tutte le volte che l’avessi richiesto, sebbene l’ora fosse
incompatta, l’avessero mandato a chiamare liberamente, mentre teneva per bene
impiegato qualunque incomodo, per avere il piacere di assistermi.
Ogni giorno si faceva più grave il mio
male; spedita dai medici, fui munita del sacro viatico, che ricevetti con sommo
amore, sperando per mezzo di Gesù sacramentato il perdono dei miei peccati,
domandavo al mio confessore se credeva che mi potessi salvare. Andavo spesso
ripetendo: «Padre, mi salverò?». Questo mi rispondeva che nei meriti di Gesù
Cristo teneva per certa la mia eterna salute. La tranquillità di spirito, i
buoni desideri che mi venivano somministrati dalla grazia di Dio, l’essere affatto
libera da tentazioni, credevo un segno certo della mia predestinazione.
Come a Dio piacque, incominciò a cedere il
male, ma la gravezza di questo mi portò cinque mesi di convalescenza. Al
ventuno di aprile del 1802 fui assalita da questa infermità, nel mese di agosto
incominciai ad uscire di casa, sebbene non ero ancora ristabilita; ma in questo
tempo il mio confessore mi visitava di frequente, e mi faceva considerare che
la vita miracolosa che il Signore mi aveva restituito, non doveva essere più
mia, ma tutta sua, ad altro non avessi pensato che piacere a lui.
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