Il dì 15 agosto fui con molta festa
accompagnata da immenso stuolo di Angeli al suddetto monte. Ma prima di salire
quella magnifica altura, Dio medesimo di propria mano si degnò vestirmi di
ricchissime, preziosissime vestimenta, in queste venivano simboleggiati i
preziosi meriti di Gesù Cristo, Signore nostro, con i quali Dio si degna di
rivestire la povera anima mia, per così renderla oggetto delle sue alte
compiacenze.
Spettatori di questo favore particolare furono i santi patriarchi Felice e
Giovanni de Matha, miei particolarissimi avvocati e padri, il glorioso
sant’Ignazio, il principe degli Angeli, san Michele, e immenso stuolo di
spiriti celesti.
Descrivo la bellezza dell’abito. Era questo bianco candido, sopra di questo
vi era un bellissimo adornamento in forma di croce, di color turchino e rosso;
era questo abito tanto bello che rendeva la povera anima assai più risplendente
del sole. Si degnò l’eterno Dio di donarmi ricca e fregiata corona, e di
propria mano si degnò calcarla sopra il mio capo. Adornata che la ebbe Dio di
questi preziosi vestimenti, si degnò mirarla con particolare compiacenza, e
stringendola strettamente, la unì a sé intimamente, e l’anima mia restò
propriamente medesimata in Dio, in una maniera che non posso esprimere.
In questo tempo persi ogni idea intellettuale, e restai tutta contenuta
dall’infinito amor di Dio. Dopo qualche tempo tornarono ad agire le potenze
dell’anima; allora, tutta accesa di santo amore, rivolta all’eterno Dio, gli
dimostrai la mia carità. Qual dardo acceso che batte al segno e poi per
l’attrazione della veemenza torna donde scoppiò, così il mio spirito tornò
nelle onnipotenti mani di Dio, il quale si degnò di propria mano condurmi fino
alla sommità del monte. Non sto qui a ridire i vivi affetti del mio povero
cuore verso l’amante Signore, mentre sarà molto più facile a vostra riverenza
degnissima il comprenderlo, di quello che sia facile a me spiegarlo.
L’amorosissimo Signore mi condusse per mano fino alla sommità del monte.
Cosa dirò mai della magnificenza di questo? Pure dirò una cosa che dimostrerà
la magnificenza di questo.
Mio Dio, degnatevi di illuminarmi, acciò possa manifestare, alla meglio che
posso, le infinite vostre misericordie.
Alla sommità, nel centro di questo magnifico monte, vi era un ricchissimo,
bellissimo trono, dove risiedeva la creatura più perfetta che abbia creato
l’eterno Dio. Questa fu la notizia che ebbi da quei felici abitatori del santo
monte. L’anima mia, a questa notizia, si profondò nel suo nulla, e umile e
rispettosa adorò, ossequiò l’eccelsa regina del cielo e della terra, Maria
Vergine santissima bellissima; qual maestra a tutti insegnava, qual regina a
tutti comandava, qual madre pietosa a tutti compartiva il dolce latte della sua
carità; immenso stuolo di vergini la corteggiavano, tutte erano riccamente
vestite, ma ve n’erano certe tra le altre molto distinte.Erano queste adornate
di uno splendore assai più bello di tutte le altre, queste assistevano
all’augusto trono della divina Signora, queste bellissime donzelle facevano
comune alle altre gli eccelsi sentimenti della loro sovrana, queste le
passavano umili e rispettose le suppliche, queste nobilissime vergini
vigilavano all’onore e alla gloria della divina imperatrice del cielo e della
terra. Altri rispettabilissimi personaggi vi erano d’appresso al suo augusto
trono, diversi dei quali furono da me conosciuti, tra questi c’erano i santi
patriarchi Felice di Valois e Giovanni de Matha, e il patriarca sant’Ignazio, e
molti altri, che non sto qui a nominare, solo nomino questi, perché mi si
fecero incontro, e mi presentarono all’eccelsa regina, la quale si degnò di
ricevermi con materno affetto.
Il favore della divina Madre non mi tolse il piacere della presenza del suo
divin Figlio, lui stesso mi accompagnò all’augusto trono della diletta sua madre,
e qual padrone espotico mi fece annoverare nel numero di quelle sante vergini.
A grazia così grande il povero mio cuore, pieno di santo orrore, rinunziò la
grazia. «O gran Regina», le dissi, «rinunzio a tal favore. Non c’è il vostro
decoro! O Madre del santo amore, non curo il mio vantaggio, ma solo il vostro
onore. Deh, vi sovvenga, o Madre, che al vostro divin Figlio io gli fui
infedele».
Una dirotta pioggia di lacrime abbondanti scorrevano dagli occhi miei e mi
rendevano viepiù amante della divina carità. A questa mia ripulsa la nobile
sovrana così prese a parlare: «Figlia diletta mia, all’alto favore non devi
rinunziare, non sei di disonore alla mia verginità. Il mio diletto Figlio ti
volle annoverare nel numero di quelle che consacrarono a lui la loro verginità,
e qual padrone espotico dei suoi preziosi doni, senza far torto a nessuno, a
suo beneplacito li può donare a chi vuole».
Le sue dolci parole persuasero appieno il povero mio intelletto, e piena di
rispetto, ringraziai l’alta bontà, e perduto affatto ogni uso di ragione, lo
spirito si perdette nell’infinita carità, e stetti molte ore prima di
rinvenire; ma, benché fossi tornata nei propri sensi miei, lo spirito restò
estatico per ben tre giorni, e in mezzo alle faccende domestiche tornava ad
esser privo di ogni sensazione.
Digressione. Il dì 14 settembre 1815 fu dalla povera
Giovanna Felice trascritto il suddetto fatto seguitomi il dì 15 agosto 1815,
dal piccolo giornale che usa tenere, per ricordare quanto passa nel suo spirito
alla giornata. Confesso però che il più delle volte viene trascritto da me il
suddetto giornale con diminuzione, e alle volte ancora occultate varie
circostanze, che rendono più glorioso il favore ricevuto, ora servendomi di
parole generiche, quando sono dirette al mio proprio spirito. Questo è stato
praticato da me fino ad ora, per la grande confusione, umiliazione,
annientamento che mi reca il manifestare le divine misericordie. Non è
veramente possibile poter immaginare l’annientamento del mio spirito, quando
per obbedienza devo manifestare i distinti favori, che a tutte le ore ricevo
dalla bontà infinita di Dio. In questa occasione ho voluto confessare questa
verità, per essere da Dio e da vostra paternità reverendissima assolta,
promettendo da quest’ora in poi, di manifestare con verità e con chiarezza
quanto passa nel mio spirito.
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