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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE SECONDA – LE NOZZE MISTICHE (Dal 1813 al 1819)
    • 27 – NEL NUMERO DELLE SANTE VERGINI
      • 5. L’abito trinitario rendeva l’anima mia più splendente del sole
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5. L’abito trinitario rendeva l’anima mia più splendente del sole

 

Il 15 agosto fui con molta festa accompagnata da immenso stuolo di Angeli al suddetto monte. Ma prima di salire quella magnifica altura, Dio medesimo di propria mano si degnò vestirmi di ricchissime, preziosissime vestimenta, in queste venivano simboleggiati i preziosi meriti di Gesù Cristo, Signore nostro, con i quali Dio si degna di rivestire la povera anima mia, per così renderla oggetto delle sue alte compiacenze.

Spettatori di questo favore particolare furono i santi patriarchi Felice e Giovanni de Matha, miei particolarissimi avvocati e padri, il glorioso sant’Ignazio, il principe degli Angeli, san Michele, e immenso stuolo di spiriti celesti.

Descrivo la bellezza dell’abito. Era questo bianco candido, sopra di questo vi era un bellissimo adornamento in forma di croce, di color turchino e rosso; era questo abito tanto bello che rendeva la povera anima assai più risplendente del sole. Si degnò l’eterno Dio di donarmi ricca e fregiata corona, e di propria mano si degnò calcarla sopra il mio capo. Adornata che la ebbe Dio di questi preziosi vestimenti, si degnò mirarla con particolare compiacenza, e stringendola strettamente, la unì a sé intimamente, e l’anima mia restò propriamente medesimata in Dio, in una maniera che non posso esprimere.

In questo tempo persi ogni idea intellettuale, e restai tutta contenuta dall’infinito amor di Dio. Dopo qualche tempo tornarono ad agire le potenze dell’anima; allora, tutta accesa di santo amore, rivolta all’eterno Dio, gli dimostrai la mia carità. Qual dardo acceso che batte al segno e poi per l’attrazione della veemenza torna donde scoppiò, così il mio spirito tornò nelle onnipotenti mani di Dio, il quale si degnò di propria mano condurmi fino alla sommità del monte. Non sto qui a ridire i vivi affetti del mio povero cuore verso l’amante Signore, mentre sarà molto più facile a vostra riverenza degnissima il comprenderlo, di quello che sia facile a me spiegarlo.

L’amorosissimo Signore mi condusse per mano fino alla sommità del monte. Cosa dirò mai della magnificenza di questo? Pure dirò una cosa che dimostrerà la magnificenza di questo.

Mio Dio, degnatevi di illuminarmi, acciò possa manifestare, alla meglio che posso, le infinite vostre misericordie.

Alla sommità, nel centro di questo magnifico monte, vi era un ricchissimo, bellissimo trono, dove risiedeva la creatura più perfetta che abbia creato l’eterno Dio. Questa fu la notizia che ebbi da quei felici abitatori del santo monte. L’anima mia, a questa notizia, si profondò nel suo nulla, e umile e rispettosa adorò, ossequiò l’eccelsa regina del cielo e della terra, Maria Vergine santissima bellissima; qual maestra a tutti insegnava, qual regina a tutti comandava, qual madre pietosa a tutti compartiva il dolce latte della sua carità; immenso stuolo di vergini la corteggiavano, tutte erano riccamente vestite, ma ve n’erano certe tra le altre molto distinte.Erano queste adornate di uno splendore assai più bello di tutte le altre, queste assistevano all’augusto trono della divina Signora, queste bellissime donzelle facevano comune alle altre gli eccelsi sentimenti della loro sovrana, queste le passavano umili e rispettose le suppliche, queste nobilissime vergini vigilavano all’onore e alla gloria della divina imperatrice del cielo e della terra. Altri rispettabilissimi personaggi vi erano d’appresso al suo augusto trono, diversi dei quali furono da me conosciuti, tra questi c’erano i santi patriarchi Felice di Valois e Giovanni de Matha, e il patriarca sant’Ignazio, e molti altri, che non sto qui a nominare, solo nomino questi, perché mi si fecero incontro, e mi presentarono all’eccelsa regina, la quale si degnò di ricevermi con materno affetto.

Il favore della divina Madre non mi tolse il piacere della presenza del suo divin Figlio, lui stesso mi accompagnò all’augusto trono della diletta sua madre, e qual padrone espotico mi fece annoverare nel numero di quelle sante vergini. A grazia così grande il povero mio cuore, pieno di santo orrore, rinunziò la grazia. «O gran Regina», le dissi, «rinunzio a tal favore. Non c’è il vostro decoro! O Madre del santo amore, non curo il mio vantaggio, ma solo il vostro onore. Deh, vi sovvenga, o Madre, che al vostro divin Figlio io gli fui infedele».

Una dirotta pioggia di lacrime abbondanti scorrevano dagli occhi miei e mi rendevano viepiù amante della divina carità. A questa mia ripulsa la nobile sovrana così prese a parlare: «Figlia diletta mia, all’alto favore non devi rinunziare, non sei di disonore alla mia verginità. Il mio diletto Figlio ti volle annoverare nel numero di quelle che consacrarono a lui la loro verginità, e qual padrone espotico dei suoi preziosi doni, senza far torto a nessuno, a suo beneplacito li può donare a chi vuole».

Le sue dolci parole persuasero appieno il povero mio intelletto, e piena di rispetto, ringraziai l’alta bontà, e perduto affatto ogni uso di ragione, lo spirito si perdette nell’infinita carità, e stetti molte ore prima di rinvenire; ma, benché fossi tornata nei propri sensi miei, lo spirito restò estatico per ben tre giorni, e in mezzo alle faccende domestiche tornava ad esser privo di ogni sensazione.

 

Digressione. Il 14 settembre 1815 fu dalla povera Giovanna Felice trascritto il suddetto fatto seguitomi il 15 agosto 1815, dal piccolo giornale che usa tenere, per ricordare quanto passa nel suo spirito alla giornata. Confesso però che il più delle volte viene trascritto da me il suddetto giornale con diminuzione, e alle volte ancora occultate varie circostanze, che rendono più glorioso il favore ricevuto, ora servendomi di parole generiche, quando sono dirette al mio proprio spirito. Questo è stato praticato da me fino ad ora, per la grande confusione, umiliazione, annientamento che mi reca il manifestare le divine misericordie. Non è veramente possibile poter immaginare l’annientamento del mio spirito, quando per obbedienza devo manifestare i distinti favori, che a tutte le ore ricevo dalla bontà infinita di Dio. In questa occasione ho voluto confessare questa verità, per essere da Dio e da vostra paternità reverendissima assolta, promettendo da quest’ora in poi, di manifestare con verità e con chiarezza quanto passa nel mio spirito.

 




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