Il giorno 14 dunque, dopo il pranzo, dopo
aver scritto il suddetto fatto, mi portai con le figlie alla chiesa, per
assistere ad un triduo ad onore di Maria SS. Addolorata. Prima di sortire dalla
mia casa, ebbi una forte ispirazione di fare qualche elemosina ad una povera
zitella civile, che per la strada chiedeva l’elemosina, e che in altra
occasione, per ispirazione di Dio, gli ho somministrato.
A questa ispirazione il mio cuore ingrato chiuse le orecchie alla buona
ispirazione; mi portai alla chiesa, mi si presentò per la strada la povera
zitella, e la sua lamentevole voce mi fece compassione più del solito. In quel
momento ebbi nuovo impulso di ritornare alla mia casa, per somministrarle
qualche carità, ma restai perplessa, per essere l’ora tarda, dubitavo di non
trovarmi in tempo al suddetto triduo; ma quando fui arrivata alla chiesa,
appena inginocchiata, il povero cuor mio dalla grave pena non poteva respirare.
In mezzo alla gran pena rifletto giustamente e trovo di aver mancato alla
carità.
Oh, qual dolore acerbo mi cagionò nel cuore la mia crudeltà! Una pioggia
dirotta di lacrime amarissime rimproveravano la mia crudeltà, e piena di
terrore mi pareva di ascoltare i giusti rimproveri dalla divina bontà. Oh, cosa
non soffrii di pena e di dolore! Chiedevo umile perdono alla di lui bontà, con
fervide preghiere pregai il Signore, perché avesse provveduto alla povera
zitella, ovvero me l’avesse fatta ritrovare. Terminata la funzione trovo la
suddetta, tutta afflitta, la conduco alla mia casa e le somministro un poco di
carità. Allora, piangendo mi disse che era nell’ultima disperazione. Presi a
consolarla e mi confessò che era tentata di buttarsi a fiume. Mi disse che il
suo padre era curiale e che per mantenersi fedele e costante per due anni
continui, per non giurare, era andato ramingo per il mondo, e che era stato
colpito da un colpo di apoplessia, ed era tanta la loro miseria che, per non
avere neppure il letto, dovevano dormire sulla nuda terra, e l’infelice padre
giaceva sopra un piccolo pagliaccio, che le fu somministrato per carità.
A racconto così lacrimevole procurai di sovvenire alla meglio sia lei che
l’infelice padre infermo, languente per la fame. Subito feci fare un memoriale
molto bene circostanziato, perché i superiori sapessero l’infelice stato della
suddetta famiglia. Dopo essermi bene informata della verità da persone che li
conoscono. Per mezzo d’interna illustrazione, Dio mi fece conoscere quale fu il
fine per cui mi diede tanta premura di sovvenire la suddetta zitella: fu per
liberarla dal grave pericolo a cui la misera era esposta in quella strada
solitaria, e quel giorno medesimo avrebbe pericolato la sua onestà. Le povere
mie preghiere allontanarono da lei il brutto mostro di iniquità, che la voleva
sedurre.
A simile notizia dissi alla suddetta che io le avrei somministrato il vitto
quotidiano per lei e per suo padre, ma che non si fosse più fermata per la
strada a questuare, fintanto che i superiori avessero provveduto alle loro
gravissime indigenze. E tutto questo si fece da me con l’approvazione del mio
padre spirituale.
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