Il dì 28 e 29 settembre 1815 si andava
viepiù a farsi grande l’incendio, mentre il santo e puro fuoco del santo amore
di Dio si andava spandendo, e ogni giorno più si faceva padrone del mio povero
cuore, e sempre più mi sentivo bruciare. Mi pareva alle volte che gli abiti
stessi bruciassero, e le mie carni restassero incendiate dall’ardore
dell’interno fuoco. Andavo scioccamente dicendo tra me stessa: «Cosa sarà mai
questo sacro fuoco che tanto mi brucia? Forse saranno carboni ardenti, ovvero
fiamme vive che così mi incendiano? Oh portento, prodigio di amore! manifestati
al mio cuore, lasciamiti conoscere cosa tu sei! Oh, amor mio, come tanto mi
bruci, che sono un vivo incendio, che più non posso contener me stessa! Oh,
sacro fuoco, lasciati da me conoscere!».
Nel tempo in cui, con santa semplicità, così ragionavo, per particolare
intelligenza il mio Signore benignamente mi fece comprendere che il sacro
fuoco, che tanto mi bruciava, non è simile al nostro materiale fuoco, ma è uno
spirito purissimo, che Dio si è degnato infondere nell’anima mia per mezzo
della suddetta unione; e siccome questo spirito sta racchiuso nel mio cuore,
quando a Dio piace, questo si spande qual prezioso liquore, e la fragranza e la
soavità viene ad incendiare lo spirito, sicché l’intelletto e la volontà
vengono ad essere inebriate eccessivamente di amore, e al corpo viene a mancare
la forza naturale. Questa mi pare che sia un’infermità bella e buona.
Carissimo padre, si degni di darmi il suo sentimento su quanto le ho finora
manifestato, riguardo al mio povero spirito; mentre l’anima mia si affida tutta
alla sua paterna cura, al suo prudente e dotto sentimento, e maturo consiglio;
e se trova nel mio spirito inganno o illusione, si degni di parlarmi con
chiarezza, senza alcun riguardo.
Un altro effetto produce in me questo santo e puro fuoco di amore, ed è che
ormai non sono più abile a veruna cosa sensibile; dovendo dunque operare
sensibilmente mi costa molta fatica, mi pare di stare in uno stato violento, ma
il Signore mi ha fatto intendere che questo è veramente esser vittima del puro
e santo suo amore.
Dopo tutti questi favori, chi lo crederebbe? il mio spirito è tanto
intimorito, che dubita della sua eterna salvezza, e pieno di timore domanda al
suo Dio se si degnerà di salvarlo. Questo santo timore mi viene infuso dalla
particolare cognizione che Dio mi dà della sua divina giustizia.
A questa cognizione l’anima si riempie di santo orrore, e umile e mansueta
chiede grazia al suo sovrano Signore di non giudicare la sua causa, e con
lacrime abbondanti deplora il malfatto e si raccomanda caldamente al suo
Signore: «Gesù mio», andavo ripetendo tutta intimorita, «caro Gesù, usatemi
misericordia. In quel momento estremo voi non sarete più il mio caro padre, ma
sarete il mio severo giudice! Dio mio, dove mi nasconderò, per non vedervi
sdegnato contro di me?».
E piangendo e sospirando vado consumando il tempo e me stessa, per la pena
di aver offeso Dio, sommo mio amore, degno di essere infinitamente amato.
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