Il dì 30 settembre 1815, nella prima
orazione subito levata, si riempì il mio spirito di santo orrore alla orazione
preparatoria, ricordando la mia grande ingratitudine, piangevo dirottamente e
chiedevo a Dio perdono, e deploravo quel tempo infelice in cui offesi Dio.
Dicevo piena di lacrime: «Ah, non fossi mai uscita da quel monastero dove vi
amavo tanto teneramente, o amor mio, Dio mio! e mantenevo illibato il mio
candore, e con la pratica delle sode e vere virtù non altro bramavo che piacere
a voi, sommo mio amore. E chi mai da quel sacro chiostro mi trasse, mio Dio,
additatemelo voi».
Secondo il solito, così mi parlò il pietoso Signore: «Io ti trassi da
quello, per rendere più gloriosa l’opera mia. Che importa a te l’aver perduto
per natura, quello che io ti ho tornato a donare per grazia?».
A queste parole lo spirito si annientò profondamente, e nella umiliazione
lodava, benediceva, amava, ringraziava il liberalissimo suo donatore.
Il dì 2 ottobre, nella santa Comunione sperimentai nello spirito una
profonda mestizia, che rendeva al mio cuore una profonda afflizione, che mi
faceva veramente agonizzare. In queta agonia provavo un abbandono penosissimo;
la povera anima mia arrivò a patire il colmo delle pene interne, che mai si
possono provare, ma quello che rendeva più gravoso il mio patire era
l’abbandono. Si disfaceva il mio cuore in lacrime amarissime di dolore; in
questa gravissima pena, l’anima non si allontanava dal suo Dio, ma con sommo
affetto gli mostrava la grave pena, e nel tempo stesso la sua fedeltà, e con
animo virile affrontava il patire, protestandosi che mai e poi mai si sarebbe
allontanata dall’amoroso suo Dio. Con petto forte e costante dicevo al mio
Signore: «Trattatemi come vi piace: vi sarò sempre fedele!».
E desideravo ardentemente sommergermi in quelle pene, per potere a lui
piacere. Ma chi lo crederebbe? il pietoso Dio, mi mostrò il suo amore,
abbracciò strettamente tra le sue santissime braccia la povera anima, quasi
come avesse compassione delle pene in cui gemevo; la povera anima mia al
momento restò consolata; si degnò farmi gustare una dolcezza di spirito tanto
particolare, che non ho termini di spiegare il particolare favore. Oh qual
gaudio al momento inondò il mio cuore! Oh che dolcissima soavità, passare da un
penosissimo abbandono ad un tenero abbraccio del mio amorosissimo padre. E chi
mai potrà contarne la magnificenza?
Il pietoso Dio assicurò il mio spirito della sua particolare protezione e
custodia, così prese a dire: «La divina mia provvidenza è stata mai sempre
benigna verso di te. Abbandònati in me con sicurezza, vivi in pace!».
Le sue parole riempirono di gaudio il mio cuore, e nel godere quel gran
bene, benedicevo le pene anzidette, perché mi avevano meritato quel gran bene.
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