Il dì 19 ottobre 1815, nella santa Comunione,
dopo aver goduto in Dio un bene molto particolare, il mio spirito fu
sopraffatto da desolazione tanto profonda, che mi pareva di morire, tanta era
la mestizia e la pena, che rendeva cagionevole anche il corpo. Tutta questa
pena era in me cagionata per il bene che pocanzi avevo goduto nella santa
Comunione.
Sollevò il Signore il mio spirito ad un grado tanto particolare di unione,
che non è veramente spiegabile. Le fece provare e conoscere in se stesso qual
bene sia il possedere il suo eterno amore. Io sperimentai un bene tanto
straordinario, che l’anima mia inondò nel gaudio, e si dimenticò affatto di se
stessa e delle miserie del nostro mondo sensibile, e le pareva già di godere
l’eterna pace. Ma quando lo spirito tornò nei sensi, nel vedere le cose
sensibili mi parevano tanto brutte, tanto sconcertate, mi trovai veramente in
un esilio penosissimo, tutto mi annoiava, tutto mi faceva pena. Il tornare nei
sensi mi cagionò quell’effetto che potrebbe cagionare ad uno che gli fosse permesso
di avvicinarsi al nostro sole sensibile, e che poi ad un tratto scendesse da
questo luogo eminente in un profondo tugurio, così la povera anima mia,
avvicinata che si fu al bel sole di giustizia, non poteva più patire di essere
ritenuta in questa vita, ma con gemiti e calde lacrime e infocati sospiri,
pregavo il mio pietoso Dio che presto mi conducesse dall’esilio alla patria.
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