Il dì 21 ottobre 1815, nella santa
Comunione ebbi notizia dell’enorme attentato che si macchina dai persecutori
della cattolica religione; pensano questi di spiantarla propriamente dalle sue
radici. Pensano questi miseri di erigere templi alle false divinità nel grembo
della cattolica Chiesa, nella residenza del romano Pontefice, del Vicario di
Cristo! Pensare di erigere templi alle false divinità! Oh empietà, oh ardire
esecrando! Piaccia a Dio che questo non accada, raccomandiamoci caldamente al
Signore, perché vadano a vuoto i loro rei disegni. Guai a noi, poveri
cattolici, se possono mettere in esecuzione quanto macchinano contro di noi!
«Tutti quelli che entreranno in queste assemblee, tutti moriranno!», mi
diceva il mio Signore. A questa parola l’anima mia si spaventò molto: «Mi
intendi di qual morte intendo parlare?», soggiunse il Signore, «intendo parlare
di quella morte che toglie la fede alle anime».
A queste parole il mio spirito si riempì di somma mestizia, per avere avuto
in quel momento un embrione del gran numero di queste infelici anime, che
disgraziatamente moriranno.
Il dì 25 ottobre1815 nella santa Comunione, così la povera Giovanna Felice:
dopo aver goduto un bene molto particolare, l’anima mia fu sopraffatta da
profonda mestizia. Era questa cagionata nell’anima mia da particolare
intelligenza, dove conoscevo la malizia di molti viventi, e di qualcuno in
particolare. Si affliggeva altamente il mio cuore per vedere tutte queste anime
ree di ribellione contro il loro Dio.
Oh, qual pena ne soffriva la povera anima mia! Piena di mestizia e
ardentemente desideravo di compensare queste gravissime offese, e nel suo cuore
diceva al suo Dio: «Mio pietosissimo Signore, quante offese, quanti oltraggi vi
fanno mai queste misere anime ree! Io, Gesù mio, desidero compensarvi queste
gravissime ingiurie, a costo di ogni qualunque mia pena. Offro tutta me
stessa».
Mi pareva di avvicinarmi all’umanità santissima di Gesù Cristo, e mi ponevo
prostrata ai suoi santissimi piedi, umile e mansueta, tutta annientata, gli
offrivo l’anima mia mille volte ogni momento, e tutte quelle anime che sono a
me unite in spirito, com’è noto a vostra paternità. Questo offrivo in compenso
di tanti oltraggi; ma tutta questa operazione si faceva dall’anima mia in
profondo silenzio, senza la minima parola, servendosi l’anima di quella maniera
stessa, che si serve Dio di parlare all’anima mia.
Una occhiata, un cenno, una parola è molto più significante di ogni
qualunque eloquente erudito discorso. Così mi parla l’amato mio Signore, senza
parole, ma per parte di chiara intelligenza mi manifesta il suo amore, e mi fa
conoscere quanto vuole e desidera. Alle volte trovo qualche difficoltà nel
manifestare quanto passa nel mio spirito, perché non so spiegare certe cose che
mi vengono da Dio significate; hanno queste in se stesse un significato molto
disteso, molto più vasto di quello che sono le parole di cui mi servo.
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