Il dì 4 novembre 1815 nella santa
Comunione si umiliava il mio spirito profondamente, e progeva incessanti
preghiere all’Altissimo, acciò si fosse degnato di concedermi tutte quelle
grazie che mi sono necessarie per arrivare ad un’alta perfezione; con calde
lacrime ed infocati sospiri, ardentemente così pregai: «Mio Dio, mio sommo
amore, a me non basta! dammi più amore, così imperfetta non voglio più stare,
alla perfezione voglio arrivare. Avanti, avanti, avanti io voglio andare
all’apice della perfezione voglio arrivare, è proprio impaziente il mio povero
cuore. Amato mio bene, non indugiare, avanti conducimi, e fa’ che l’ardente
fiamma del celestiale tuo amore mi bruci, mi infiammi della tua carità. O
Spirito divino, di amore ripieno, infiamma il mio cuore e fallo morire! Oh,
morte beata, che vita beata mi dona Gesù: io più non vivo, ma vive in me Dio,
che vita mi dà!».
A questo mio trasporto amoroso, a questa mia esclamazione amorosa, fui
trasportata in spirito, dirò meglio fu sollevato il mio intelletto a penetrare
cose così particolari del santo amore di Dio, che non mi è possibile spiegare.
Sollevato che si fu l’intelletto fino ai confini del proprio suo essere, per
parte della grazia, per pochi momenti il mio spirito fu trasformato in uno
spirito purissimo, pieno di agilità.
Mio Dio, qual confusione è per me il dover manifestare le vostre grazie;
vorrei tacere, ma mi conviene per obbedienza manifestare le vostre copiose
misericordie. Mio Dio, illuminatemi, perché possa con termini meno disdicevoli
manifestare il vostro purissimo amore. Ma che cosa mai dirò, se non ho termini
sufficienti per spiegare cose così meravigliose, che non vidi mai. Mio Dio,
illuminatemi voi! E voi, serafini del cielo, purificate la mia lingua,
purificate il mio cuore, perché veracemente possa manifestare l’eccelso favore,
senza oscurare la gloria del mio Signore.
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