Fui dunque condotta in una città
bellissima, dov’era collocato il venerabilissimo tabernacolo dell’eterno Dio.
Che magnificenze, che ricchezze, che pompa, che gala, non è veramente
spiegabile! Era questa rispettabilissima città abitata dagli Angeli e non dagli
uomini. Erano questi nobilissimi spiriti tutti intenti a custodire l’augusto
tabernacolo del sommo Re del cielo e della terra. Fui dal divino Spirito
introdotta in questa città, in una maniera tanto particolare, ma io non lo so
dire; prima di introdurmi in questa città, il divino Spirito mi degnò di tre
preziosi doni, perché i custodi di quest’alma città mi dessero libero ingresso.
Il celestiale amore pose nel mio cuore i tre preziosi doni, a guisa di
acuti dardi li trapassò nel cuore. Oh come in quel momento colpito fu il mio
cuore dal suo divino amore! Da dolce svenimento fu sopraffatto il cuore, e
piena di celestiale amore l’anima mia restò. Di tanta bellezza erano i tre
preziosi doni, che non si possono ugualiare né all’oro finissimo, né alle
preziose gemme. Cosa così sorprendente non si vide giammai. Il divino Spirito
mi mostrò ai suoi servi qual trionfo del suo celestiale amore.
Quei beati spiriti restarono attoniti, estatici; miravano i tre preziosi
doni, e pieni di meraviglia lodavano al sommo Dio l’alta bontà. Libero mi
diedero il passo, e pieni di sommissione mi vollero accompagnare al tabernacolo
augusto del sovrano re.
Mio Dio, dove m’inoltro? cosa mai dirò? quale ardire è il mio: paragonar
cose che non hanno paragone? Mio Dio, dunque tacerò? Santa obbedienza come
potrò soddisfarti? di quali parole mi servirò? se sono tanto ignorante e rozza,
ma a magnificenza tanto straordinaria mi pare che ogni eloquente dottore non
sia sufficiente per manifestare con giusti termini gli eccessi dell’eterno suo
amore. Ma per non mancare all’obbedienza, rozzamente scriverò almeno quanto
posso ridire; il resto lo lascio alla dotta esperienza di vostra paternità
reverendissima.
Fui dunque con grandissima pompa accompagnata dai felici abitatori di
questa città all’augusto tabernacolo del sommo Re. Erano tutti in gran festa
per il mio arrivo. Molti si compiacquero di accompagnarmi, molti altri
adornavano la strada che dovevo passare, altri spargevano la strada di
vaghissimi fiori, altri cantavano inni di gloria, altri mi procedevano avanti,
per recarne agli altri la felice nuova.
Con languido paragone mi spiegherò, ma mi protesto però che è molto
dissimile da quello che nel mio spirito fu operato dalla grazia dell’altissimo
Dio. La povera anima mia fu corteggiata molto più di quello che si corteggia
una nobile donzella che sia innalzata al nobilissimo matrimonio di un re
potente, e che il potente sovrano attendesse ansioso l’arrivo della sua diletta
sposa; e tutti i cortigiani si fanno un pregio di poterla servire e condurla al
sovrano loro re. Con maggior pompa fu ricevuta la povera anima mia da quegli
abitatori, che a mio parere erano sovrani spiriti, cortigiani del sommo re,
custodi della sopraddetta città.
Mi spiego meglio: questa da me chiamata città, non già aveva in sé né case
né palazzi, né altre cose, che nel mondo sensibile formano la bellezza, la
vaghezza delle città. Tutto diverso era questo fabbricato, un edificio tanto
bello e magnifico che non ha pari. Questo era eretto al solo fine di custodire
il magnificentissimo tabernacolo. Fui dunque condotta al luogo dov’era il reale
tabernacolo. Tutti in bell’ordine erano disposti gli abitatori di questo luogo;
ma tutti attoniti se ne stavano, osservando cosa fosse per fare di me l’eterno
amore. Quando si vide ad un tratto aprire l’augusta porta del tabernacolo, e
facilmente mi si accordò l’ingresso.
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