Oh, allora sì, che pieni di rispetto
esclamarono altamente con voci concordi inni di lode e di ringraziamento
all’eterno onnipotente loro sovrano. Aperta che si fu la porta, tre bellissimi
personaggi mi si fecero incontro, e annunziandomi le celestiali brame
dell’amante loro re, pieni di gaudio mi condussero dentro il venerabile
tabernacolo.
I suddetti personaggi erano i miei santi patriarchi Felice e Giovanni de Matha
e il mio gran padre, sant’Ignazio. Devo dire una cosa molto considerabile, ed è
che questo vastissimo tabernacolo non aveva la porta corrispondente alla sua
vastità, ma aveva una porta molto stretta, molto angusta. I santi patriarchi
m’insegnarono quello che dovevo fare per passare l’angusta porta. Così presero
a dire: «Umìliati, abbàssati, annientati, se vuoi passare».
Conobbi che in queste parole venivano compresi i gradi di una umiltà
perfetta. A questa cognizione rivolsi, piena di sommissione le mie suppliche al
buon Dio, acciò si degnasse donarmi la santa umiltà; desiderai di possedere
questa virtù. In quell’istante l’amoroso Signore mi fece sperimentare gli
effetti più vivi di una umiltà la più perfetta che mai dir si possa. La porta
era veramente angusta, in maniera che dovetti umiliarmi molto per poter
passare. «Abbàssati, umìliati», ripetevano quegli incliti personaggi, di alta
sfera e di scienza ripieni. Alle loro parole mi degnò Dio di un grado di umiltà
tanto profonda, che potei passare l’angusta porta.
Oh che magnificenza! oh, che grandezza! oh, che vastità! Cose veramente
incomprensibili, degne solo veramente di Dio.
Entrai nel magnifico tabernacolo, scortata dai soli tre santi patriarchi, i
quali, a nome dell’onnipotente Dio, m’introdussero in luogo eminente di questo
tabernacolo. Era tale e tanta la luce che vi risiedeva, che al momento l’anima
mia restò assorbita da questa immensa luce. La forte attrazione, con amorosa
forza, trasse dal mio cuore i tre preziosi doni, che a guisa di dardi fitti nel
mio cuore aveva, prima di entrare nella santa città, come si è detto di sopra,
li trasse dal mio cuore, e li calcò fortemente sopra se stesso, e come li
avesse inviscerati, tanto l’internò in se stesso. Dopo nuovamente li trasse dal
suo seno, e in segno di particolare amore, tornò di bel nuovo ad immergerli nel
mio cuore.
Oh, chi mai potrà ridire i mirabili effetti che sperimentò il mio spirito!
Mi manca veramente la lena di proseguire. Sperimentai gli effetti mirabili di
una unione perfetta. Non posso dir di più. Sarà molto più facile a vostra
paternità il comprenderlo di quello che sia a me il ridirlo.
|