Il dì 7 novembre 1815, nella santa Comunione,
la povera Giovanna Felice: per una mancanza commessa ero tutta intenta a
piangere i miei peccati, la mia troppa delicatezza, la notte avendo sofferto
molto freddo, nello svegliarmi mi trattenni per mezz’ora in riposo, per vedere
di scaldarmi i piedi, lasciandomi vincere dalla mia debolezza. Invece, come
sono obbligata, di disprezzare il mio corpo, trovai di averlo accarezzato. Mi
avvidi di questa mancanza, quando mi misi in orazione.
Oh, quanta umiliazione apportò al mio spirito la suddetta mancanza!
Piangevo amaramente la mia ingratitudine; confondendomi in me stessa chiedevo
umilmente perdono al mio Signore. In questa profonda umiliazione andai a
ricevere la santa Comunione. Tutto ad un tratto fu sopraffatto il mio spirito
da interna quiete, e in questo tempo mi trovai nell’anzidetto tabernacolo.
L’anima mia si sbigottì, dubitando di ardire troppo.
Nel tempo che ero in questo timore, mi apparvero i santi patriarchi,
unitamente al mio gran padre sant’Ignazio. Così presero a parlare: «Rallègrati,
o figlia, non paventare. E non conosci evidentemente che la grazia
dell’Altissimo ti circonda da ogni lato? Inòltrati, inòltrati senza temere». E
additandomi una scala altissima, che poneva il suo fine alla sommità del cielo,
mi fecero intendere che alla sommità di quella dovevo ascendere. Mi
manifestarono il cortese invito del sovrano loro re.
A questo invito la povera anima mia inorridì. «Mio Dio!», esclamò piena di
confusione, «e come potrà mai una vostra creatura tanto ingrata ardire
d’inoltrarsi tanto? come ardirà di ascendere a tanta altezza?».
Umiliandomi profondamente non osavo salire la scala, ma, tenendo fisso lo
sguardo sopra me stessa, confessavo la mia indegnità. Molto mi affliggevo,
trovandomi manchevole per la mancanza suddetta.
Piangendo dirottamente dicevo: «Mio Dio, voi amate la penitenza, e io sono
la stessa mollezza. Oh, quanto sono dissimile da voi! Oh, quanto mi confondo,
Gesù mio!».
Il pietoso Signore, nel vedermi così annientata, mi prese a consolare, mi
fece intendere che la sua grazia mi rendeva degna del suo amore. A questa
cognizione, la povera anima mia si abbandonò tutta in Dio, e sperando nei suoi
meriti infiniti, si lasciò guidare dall’eterno suo amore.
A questo mio abbandono, lo Spirito del Signore s’impadronì di tutta me,
rapidamente m’investì e mi condusse per l’eminente scala. In questa scala sono
significati tre gradi di altissima perfezione, per dove l’anima ascende ad un
grado molto particolare di unione, per quanto ne può essere capace come
viatrice; arriva a penetrare i cieli, e qual colomba di amore arriva a
collocare il suo nido nel cuore amoroso del suo Signore.
Salì dunque con somma agilità molti gradini della suddetta scala,
sperimentando nel mio cuore una totale innovazione di spirito. Fu comunicata al
mio intelletto una particolare penetrazione. Oh come conoscevo bene il mio Dio,
oh come conoscevo me stessa! In Dio mi rallegravo, in me stessa mi confondevo,
umiliandomi profondamente, amavo ardentemente il mio amoroso Signore; ma, senza
avvedermi, il mio spirito si va inoltrando leggiadramente per la suddetta
scala.
Mio Dio! e dove mai sono arrivata? e come mai ho penetrato questo altissimo
luogo? Mio Dio, che ardire è il mio! io più non conosco me stessa! che luce,
che splendore è questo mai che mi circonda? Dove mai sono io? Oh portento
glorioso di carità! la sapienza eterna mi contiene in se stessa. Eccomi arrivata
alla prima mansione! Oh bella scala, dove mi conducesti?
Per ordine del divino spirito qui si fermò la povera anima mia. Anima mia,
dove tu sei? quale ardire è il tuo? Come penetrasti luogo sì eccelso? contenuta
sono dall’eterna sapienza. O santo amore, dove mi conduscesti? Ma, o Dio, viene
meno il mio spirito per l’esuberanza dell’affetto. Qual carità possiede mai il
mio cuore! Mio Dio, dove sono? Questo è un paradiso! che dolcezza, che gaudio,
che purità d’intenzione, che amore essenziale, che unione! Mio Dio, ecco che si
trasforma tutto tutto in voi il mio spirito e l’anima mia è penetrata dal
vostro amore! La suddetta unione mi ridusse affatto priva di ogni sensazione;
sperimentai nel cuore dolcissimo riposo, ma come non bastasse, tornò con nuovo
favore a mostrarmi la sua carità.
Ecco l’eterno Dio che si spiccò dall’alto, per mezzo di bella luce tornò ad
investirmi della celestiale unione, volle lasciarmi un pegno, bella croce
scolpita nel cuore mi lasciò.
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