Il dì 11 novembre 1815 il mio spirito proseguiva
nella medesima maniera: piangeva, sospirava, pregava, si affliggeva, per
vedersi ingrata al santo e puro amore di Dio. Questa è per me una croce tanto
sensibile che mi sta impressa nel cuore, e notte e giorno mi tiene in continuo
martirio; questa croce mi pare che sia quella che nella passata unione si degnò
il mio amorosissimo Dio di imprimermi nel cuore.Da quel giorno la mia cattiva
corrispondenza si formò oggetto di gravissima ma pacifica afflizione; non sa
più rallegrarsi il mio cuore, solo desidera imitare il Crocifisso suo bene, ma
nel vedersi tanto dissimile da lui, piange, geme, sospira, prega
incessantemente l’amato suo bene, acciò si degni donarmi la corrispondenza,
l’amore.
Piena di fiducia, mi rivolsi alla valevole intercessione dei tre santi
trinitari suddetti, con calde lacrime e veementi desideri invocai il loro
valevole patrocinio. I pietosi santi mi apparvero tutti e tre, piacevolmente, e
mi consolarono, facendomi sperare, a suo tempo, il conseguimento della bramata
grazia.
Il beato Simone mi dette a tenere il lembo della sua cappa, il beato
Michele si degnò di darmi a tenere il suo scapolare nelle mani, il venerabile
padre, per darmi coraggio e per avvalorare il mio povero spirito, con trasporto
di carità paterna, mi chiamò col dolce nome di figlia.
Oh, qual consolazione provò il mio cuore, quando così intesi chiamarmi:
«Mia figlia, non temere! appòggiati sopra la mia spalla destra».
Alle sue parole il mio spirito, preso da santo timore, dubitò di qualche
inganno, ma il santo padre conobbe il mio pensiero, e così soggiunse: «Non
dubitare di inganno. Appòggiati liberamente, con santa libertà di figlia; e io
ti prometto di sostenerti con carità paterna».
A queste sue parole l’anima mia fu sopraffatta da santa fiducia; assicurata
dallo Spirito del Signore, appoggiai con sommo rispetto la testa sopra la sua
venerabile spalla, in atto umile, obbediente e modesto, mostrando verso di lui
la soggezione e l’amore filiale. Il venerabile padre mostrò verso l’anima mia
gli affetti più vivi della sua paterna carità.
In quel felice momento godei un bene molto particolare nello spirito; ma
particolarmente sperimentai un totale abbandono di spirito nella sua paterna
carità. Io non so ridire, molto grande fu la consolazione di spirito che mi
recò il distinto favore.
Il dì 22 novembre 1815, nella santa Comunione, così la povera Giovanna
Felice: mi apparve nuovamente il venerabile padre, mi confortò con parole molto
amorevoli e mi fece di bel nuovo appoggiare sopra la sua veneranda spalla; mi
assicurò del valevole suo patrocinio. L’amorosissimo Dio, per mostrarmi la sua
compiacenza, nel vedermi sostenuta da questo suo fedelissimo servo, dall’alto
dei cieli mandò un raggio del suo splendore a formare una strada dritta, perché
la povera anima mia potesse liberamente e facilmente sollevarsi al cielo per
godere le divine misericordie.
Allora mi disse il venerabile padre: «Va’, figlia, non indugiare»; e,
datami la paterna benedizione, l’anima mia, per mezzo di quel raggio di luce,
si sollevò al cielo. Dio mi degnò di un grado molto alto di unione, da questa
unione ne riportai un favore ben grande: mi promise il Signore di farmi godere
in cielo il merito della clausura; e questo, mi fece intendere, che era in
premio di quel volontario ritiro che esercito per suo amore.
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