Il dì 25, nella santa Comunione, era
veramente martirizzato il mio cuore dal gran desiderio di imitare l’amoroso
Gesù. Considerando quanto mai sono dissimile da lui, piangevo amaramente la mia
miseria; mi raccomandai caldamente alla divina madre, Maria santissima.
Andava ogni ora più crescendo il desiderio di vincere e superare la mia
debolissima, miserabilissima natura; lo spirito si armò senza pietà contro il
corpo, il corpo si contristava, e la povera anima mia pativa pene di morte,
perché voleva superare la sua propria debolezza, e non poteva.
In questa gravissima pena mi raccomandai al mio gran padre sant’Ignazio,
ricordevole delle sue parole, così presi a dire: «O santo glorioso, adesso
conosco cosa mi volevate dire, quando mi diceste che per arrivare alla
perfezione mi mancava ancora di vincere la carne e il sangue. Avete ragione,
questo è veramente il maggior ostacolo della perfezione! Mi raccomando a voi, o
gran santo: ottenetemi questa grazia!».
Dopo la suddetta preghiera, fu al mio spirito comunicato un bene
soprannaturale, per mezzo del quale sperimentai un riposo molto particolare;
perdetti ogni idea sensibile. In mezzo a questo perfetto riposo, mi parve di
vedere l’umanità santissima di Gesù Cristo, unita alla sua divinità, che con
raggio di luce, che tramandava dalla sua mano destra, percosse il mio povero
cuore e fece da questo scaturire dolcissimo liquore. E, accostate le sue
purissime labbra al mio povero cuore, si degnò gustare il prezioso liquore.
E chi mai potrà ridire i mirabili effetti che provò il mio cuore? Restò
come tutto liquefatto il mio spirito al prodigioso contatto del suo divin
Salvatore; tutta tutta l’anima mia fu liquefatta dal puro e santo suo amore:
mio Dio, quanto è mai grande il vostro amore, e chi mai potrà comprenderlo? o
come ardisco io mai manifestarlo? E non sono io la creatura più vile che abiti
la terra? donde dunque tanto ardire? O santa obbedienza, quanta pena mi fai
soffrire!
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