34 – UN DARDO MI TRAFISSE IL
CUORE
Il dì 24, notte del santo Natale, mi trattenni
otto ore continue in orazioni, due ore prima della santa Comunione, cioè dalle
ore sei fino alle ore otto italiane, le passai in sommo raccoglimento e in un
gaudio, in una letizia intima, che rendeva al mio cuore pace, tranquillità,
amore. Nel tempo che stavo così sopita, il mio amoroso Signore mi si fece
vedere sotto la forma di vago bambino con crudo dardo in mano, mirandomi con
sommo amore mi colpì il cuore.
Oh, come in un momento si accese di santo amore il povero mio cuore! Quando
mi credevo di possedere l’amante, mi trovo affatto priva dell’unico mio bene.
Pieno di affanno il cuore, con lacrime e sospiri, mi misi ad ogni intorno a
ricercare il mio bene. Dicevo, piena di santo affetto: «Mio Dio, dove ne
andasti? Mio Dio, chi mi ferì? Oh, crudo, oh dolce strale, tu mi feristi il
cuore, dolor sopra dolore tu mi fai soffrir. Amico mio carissimo, diletto del
mio cuore, dolcissimo Gesù, perché ferirmi dunque se poi fuggir vuoi tu? Oh
pena crudelissima, perché non mi fai morire?».
Così si andava querelando la povera anima mia con il suo Signore. Oh quante
pene mi costò la sua sottrazione. In un momento priva restò la povera anima mia
del suo Dio; pena crudelissima che rassomigliar si può al purgatorio, o, per
dir meglio, ad un inferno, quanto mai mi fece piangere il mio Signore in quella
santa notte del suo Natale. Cinque ore mi tenne in pene gravissime, perché
credevo che mi avesse abbandonata; finalmente dalla gran pena mi mancò lo
spirito e restai vittima del dolore.
In mezzo al grave dolore si sopì lo spirito, e mi parve di trovarmi in una
aperta campagna, dove vidi un monte altissimo, alla sommità di questo vidi
l’amato mio Gesù, tutto circondato di luce, sotto l’immagine di leggiadro
bambinello; m’invitava a salire quel ripidissimo monte; era con lui Maria
santissima, con il castissimo suo sposo Giuseppe, ma non già abietti, come un
giorno si degnarono di abitare in questo mondo per nostro amore, ma li vedevo
belli, gloriosi, circondati da immensa luce. La bellezza, la vaghezza di quel
caro Bambinello non è possibile descriversi; pieno di amore a me rivolto
m’invitava a salire quel ripidissimo monte, ma la povera anima mia, confessando
la sua debolezza, si conosceva affatto incapace di salire tanto alto.
Mi misi a piangere dirottamente, e tra lacrime e sospiri pregavo
incessantemente, perché si fosse degnato darmi tanta grazia di ascendere fino
alla sommità di quel monte, per così potermi avvicinare a lui.
Alle replicate preghiere si degnò compiacermi, da forza superiore fu
sopraffatto il mio spirito, e con sommo coraggio potei camminare in mezzo a
molti disastri e salire l’alto monte.
Il povero mio spirito rapidamente si slanciò verso l’amato suo bene, che
amorosamente con le braccia aperte si degnò ricevermi, e dolcemente mi strinse
al suo cuore.
Oh qual contento provò il mio spirito! Tutto tutto si disfaceva di amore in
lacrime di dolcezza e di gaudio inenarrabile.
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