Il dì 10 gennaio 1816, nella santa
Comunione, mi degnò Dio di un grado maggiore di orazione; questo mi fece
intendere che mi disponeva a ricevere nuove grazie da lui. Intanto mi dava
particolare cognizione dell’infinito amore che mi porta. Qual gaudio, qual
contento, qualle umiliazione apportò questa cognizione al mio cuore non ho
termini di spiegarlo.
Si riempì il mio spirito di santa confidenza; l’amore, la gratitudine, il
desiderio di corrispondere all’eccessivo suo amore sollevò lo spirito ad
un’alta contemplazione, e penetrando intimamente le perfezioni di Dio, l’anima
mia si riempì di gaudio, tanto si era internato in Dio lo spirito, che il corpo
parevami l’avesse del tutto lasciato.
I buoni effetti che questa grazia mi fece sperimentare sono
incomprensibili; mentre io che ne provai i buoni effetti non ne comprendevo la
vastità. Il mio cuore amava Dio in modo molto particolare, ma io non lo so
spiegare; solo dirò che se per amarlo mi avesse mostrato l’inferno, là mi sarei
slanciata, tenendomi per fortunata patire quelle pene per avere il piacere di
poterlo amare.
Il dì 13 gennaio 1816 nell’orazione subito levata, che durò tre ore e un
quarto, i primi tre quarti non potei in nessun modo fermare la immaginativa. Tutte
leggere idee mi si presentavano alla mente, per ben tre volte mi misi alla
presenza di Dio, mai potei fissare la mente; finalmente vedendomi tanto
miserabile, mi rivolsi al mio Dio, piangendo e sospirando acciò degnato si
fosse di insegnarmi ad orare. A questa preghiera si mostrò pietoso Dio verso di
me. Fui al momento sopraffatta da nuovo spirito, e intimamente riconcentrate le
potenze, l’anima fu chiamata a somma attenzione. Si unirono le potenze e si
soggettarono al suddetto spirito dominatore, che le aveva sopraffatte; in sommo
silenzio se ne stava il mio spirito, questo silenzio fu interrotto da interna
sonora voce, che con impero così mi parlò: «Donde ne venisti? chi sei? dove
vai?».
A queste brevi domande riempirono in un momento il mio intelletto di molta
magnificenza riguardo a Dio, e di annientamento riguardo a me stessa,
reputandomi per la creatura più vile che abita la terra. Al momento da arido e
oscuro che era il mio intelletto, divenne così perspicace, che per mezzo della
grazia di Dio feci un’orazione molto particolare. Nel tempo che l’anima con
somma agilità andava penetrando il suo principio e il suo fine, il suo nulla,
sento di nuovo parlarmi: «Mira, o figlia, dove ti vuol condurre l’infinito amor
mio».
Ciò detto, fu condotto il mio spirito in una vastissima città; ma la
bellezza, la vaghezza, l’amenità non si può esprimere con ogni qualunque
bellezza creata. Basti dire che Dio medesimo in questa città mi si
rappresentava. Dove volgevo lo sguardo trovavo il mio Dio, ma il mio spirito
era al sommo intimorito, parte per la sonora voce che mi aveva parlato, parte
per vedermi in un luogo che mai avevo veduto. Stavo tutta tutta riconcentrata
per il timore, quando da Dio nei fui assicurata: «Non temere di inganno, io
sono il tuo Dio», mi disse, «vieni con me, che mi conoscerai».
A queste parole fui condotta da mano invisibile in luogo eminente, dove Dio
mi si diede a vedere in una maniera che io non so descrivere. So bene che il mio
spirito fu assorbito dal suo splendore, i buoni effetti che provò il mio cuore
non so ridire; mi pareva di godere un paradiso di contenti, tanta era la
dolcezza e il gaudio, l’amore che Dio si degnò comunicarmi.
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