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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE SECONDA – LE NOZZE MISTICHE (Dal 1813 al 1819)
    • 34 – UN DARDO MI TRAFISSE IL CUORE
      • 6. Dio mi si diede a vedere
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6. Dio mi si diede a vedere

 

Il 10 gennaio 1816, nella santa Comunione, mi degnò Dio di un grado maggiore di orazione; questo mi fece intendere che mi disponeva a ricevere nuove grazie da lui. Intanto mi dava particolare cognizione dell’infinito amore che mi porta. Qual gaudio, qual contento, qualle umiliazione apportò questa cognizione al mio cuore non ho termini di spiegarlo.

Si riempì il mio spirito di santa confidenza; l’amore, la gratitudine, il desiderio di corrispondere all’eccessivo suo amore sollevò lo spirito ad un’alta contemplazione, e penetrando intimamente le perfezioni di Dio, l’anima mia si riempì di gaudio, tanto si era internato in Dio lo spirito, che il corpo parevami l’avesse del tutto lasciato.

I buoni effetti che questa grazia mi fece sperimentare sono incomprensibili; mentre io che ne provai i buoni effetti non ne comprendevo la vastità. Il mio cuore amava Dio in modo molto particolare, ma io non lo so spiegare; solo dirò che se per amarlo mi avesse mostrato l’inferno, mi sarei slanciata, tenendomi per fortunata patire quelle pene per avere il piacere di poterlo amare.

 

Il 13 gennaio 1816 nell’orazione subito levata, che durò tre ore e un quarto, i primi tre quarti non potei in nessun modo fermare la immaginativa. Tutte leggere idee mi si presentavano alla mente, per ben tre volte mi misi alla presenza di Dio, mai potei fissare la mente; finalmente vedendomi tanto miserabile, mi rivolsi al mio Dio, piangendo e sospirando acciò degnato si fosse di insegnarmi ad orare. A questa preghiera si mostrò pietoso Dio verso di me. Fui al momento sopraffatta da nuovo spirito, e intimamente riconcentrate le potenze, l’anima fu chiamata a somma attenzione. Si unirono le potenze e si soggettarono al suddetto spirito dominatore, che le aveva sopraffatte; in sommo silenzio se ne stava il mio spirito, questo silenzio fu interrotto da interna sonora voce, che con impero così mi parlò: «Donde ne venisti? chi sei? dove vai?».

A queste brevi domande riempirono in un momento il mio intelletto di molta magnificenza riguardo a Dio, e di annientamento riguardo a me stessa, reputandomi per la creatura più vile che abita la terra. Al momento da arido e oscuro che era il mio intelletto, divenne così perspicace, che per mezzo della grazia di Dio feci un’orazione molto particolare. Nel tempo che l’anima con somma agilità andava penetrando il suo principio e il suo fine, il suo nulla, sento di nuovo parlarmi: «Mira, o figlia, dove ti vuol condurre l’infinito amor mio».

Ciò detto, fu condotto il mio spirito in una vastissima città; ma la bellezza, la vaghezza, l’amenità non si può esprimere con ogni qualunque bellezza creata. Basti dire che Dio medesimo in questa città mi si rappresentava. Dove volgevo lo sguardo trovavo il mio Dio, ma il mio spirito era al sommo intimorito, parte per la sonora voce che mi aveva parlato, parte per vedermi in un luogo che mai avevo veduto. Stavo tutta tutta riconcentrata per il timore, quando da Dio nei fui assicurata: «Non temere di inganno, io sono il tuo Dio», mi disse, «vieni con me, che mi conoscerai».

A queste parole fui condotta da mano invisibile in luogo eminente, dove Dio mi si diede a vedere in una maniera che io non so descrivere. So bene che il mio spirito fu assorbito dal suo splendore, i buoni effetti che provò il mio cuore non so ridire; mi pareva di godere un paradiso di contenti, tanta era la dolcezza e il gaudio, l’amore che Dio si degnò comunicarmi.

 




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