Dopo aver goduto di quella presenza di
Dio, come già dissi, la sera del dì 14 marzo 1816, che riempì il mio cuore di
gaudio e di dolcezza, il dì 15 del suddetto mese, nella santa Comunione, si
riempì il mio cuore di gravissima mestizia. La tristezza e l’affannosa pena mi
faceva piangere e sospirare; andava ogni momento più a farsi grande la mia
pena, sicché in poche ore l’anima arrivò al colmo del patire. Sentivo lacerarmi
il cuore dall’amarezza e dall’afflizione; lo spirito era circondato da
gravissime pene, era immerso nelle pene più afflittive di spirito che possono
mai ridirsi. In questo patire però non si allontanava l’anima dal suo Dio, ma con
sommo ardore tra quelle pene avidamente lo cercava; Dio, invece di farsi
trovare in aspetto piacevole, mi si dava a vedere in aspetto terribile e
spaventoso, quasi sul momento di precipitarmi senza pietà; ma l’anima invece di
fuggire questo Dio terribile, viepiù gli si avvicinava; più Dio si mostrava
terribile, in atto di scaricare sopra di questa i più spietati flagelli, e più
l’anima gli si faceva sotto, compiacendosi di restare annientata per
compiacerlo. Con santo ardire andava replicando: «Annientami, annichilami,
sempre tua sarò».
Ed intanto le si faceva più sotto senza timore, ma sopraffatta dalla
compiacenza di dar gusto al suo amato bene, disprezzava ogni qualunque gravissimo
male, ogni qualunque gravissima pena e quasi sfidando la sua divina giustizia a
castigarmi con i più spietati flagelli.
Intanto l’anima, affidata alla sua divina grazia, pregava acciò mi volesse
dare invitta costanza, per disprezzare ogni pena e travaglio per amor suo. A
nostro modo di intendere l’anima arrivò a lottare con il suo buon Dio. Dio le
mostrava la sua severità, e l’anima gli mostrava la sua fedeltà, la sua
costanza, mediante il suo divino aiuto.
Che grazie siano queste, mi pare che non si possano esprimere da qualunque
dotto oratore. Dunque cosa dirò io, che sono tanto miserabile e tanto vile?
Mentre l’anima per mezzo della grazia viene tanto a sollevarsi sopra se stessa,
e operando con sublimità di affetto, per mezzo della volontà veniva ad
esercitare una costanza eroica, una fortezza invitta, una fiducia filiale,
mentre l’anima tutta si appoggiava agli infiniti meriti del suo buon Gesù.
Dal giorno 15 marzo fino al giorno 21 del suddetto mese 1816, il mio
spirito è stato in questa suddetta situazione, ora patendo pene gravissime, ora
sopraffatta dall’amore, cercavo di patire di più.
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