Il dì 22 marzo 1816, nella santa
Comunione, il mio Dio, non più in aspetto terribile, come per il passato, ma in
aspetto piacevole e benigno, mi manifestò. E come potrò mai ridire gli affetti
scambievoli di Dio e dell’anima, che vicendevolmente andavano facendo tra loro?
Mi fece riposare tra le sue braccia, mi strinse al suo seno purissimo, quante
belle promesse mi fece! Mi promise che il giorno che la Chiesa celebra la festa
della sua Risurrezione avrebbe favorita la povera anima mia con grazia molto
particolare e distinta. Vorrei occultare la grazia, ma dubito di mancare
all’obbedienza, a gloria di Dio la manifesterò. Mi promise di donarmi una
fiducia straordinaria, soprannaturale: «Questa», mi disse, «ti sarà molto
giovevole non solo a te, ma a tutti quelli che usano verso di te della carità.
Abbandònati nella mia divina provvidenza. Non dubitare, vedrai quello che saprò
fare per beneficarti!».
A sentimenti così particolari di carità, la povera anima mia si profondava
nel suo nulla e si umiliava profondamente, e, ammirando l’infinita bontà di
Dio, si struggeva di amore in lacrime.
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