Dal giorno 22 marzo 1816 fino al giorno 3
di aprile 1816 il mio spirito ha sofferto pene molto gravose, temporali e
spirituali; ma per grazia di Dio, l’anima è stata sempre rassegnata nel divino
beneplacito, nel patire lodava e benediceva il suo Signore. Benché molto
sensibile mi fosse il suddetto patire, ciò nonostante l’anima si rassegnava tutta
in Dio; rassegnata che si era nel divino beneplacito, sperimentai nell’intimo
dell’anima un profondo raccoglimento.
Nel tempo che stavo così raccolta, mi si manifestò Dio sotto i più spietati
patimenti e mi fece intendere che, se bramavo possederlo, dovevo con generosa
costanza affrontare quei patimenti che mi si presentavano.
A questa cognizione non paventò lo spirito, ma con eroica fortezza,
compartitami dalla grazia di Dio, affrontavo virilmente il patire, disprezzando
quanto mi si frapponeva per andare liberamente a Dio. Con santo ardire calcavo,
infrangevo con fortezza invitta il patire, e mi slanciavo liberamente
nell’amoroso seno del mio Dio, che, pieno di compiacenza, godeva in se stesso
nel vedermi, per amor suo, disprezzare tutte quelle gravissime pene.
Si degnò di rendermi partecipe del suo gaudio, del suo contento. Oh, come
esultava il mio povero spirito in Dio, suo Signore! Oh, che dolcezza sperimentò
il mio cuore! Non mi è possibile poterlo ridire.
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