Il dì 19 suddetto fui favorita da Dio
nella santa Comunione con grazia molto particolare, ma non so manifestare con
termini proporzionati cosa tanto sublime, mentre fu sollevato il mio spirito ad
un grado tanto intimo di unione, che credetti di finire la vita. La dolcezza,
la soavità, l’amore essenziale che godeva la povera anima mia mi necessitava a
dire, ebria di santo amore: «Basta, mio amore, basta Signore; basta, non più,
sostener non posso la piena del vostro infinito amore. Basta, Signore; basta,
non più».
Il profondo silenzio fu interrotto da dolce voce: «Figlia diletta», sento
chiamarmi, «e se a te basta, non basta al mio amore. Altra grazia ti ha
preparato l’infinito mio amore: il giorno 23 con sacro matrimonio intimamente a
me ti unirò. Questo favore che voglio a te compartire non è meno grande di
quello che mi compiacqui di fare alla mia serva Caterina da Siena».
A queste parole qual mi restassi non so ridire, ricordevole della mia
infedeltà mi confondevo, mi umiliavo profondamente, piangevo con abbondanti
lacrime le mie gravi colpe. Fui sopraffatta da viva contrizione.
Intanto il Signore sollevava il mio spirito per mezzo di intima cognizione,
dandomi a conoscere l’infinito suo amore quanto parziale sia verso di me,
misera sua creatura. A queste cognizioni si struggeva il mio cuore in lacrime
di gratitudine, di amore; piena di santo affetto, tutta tutta mi offrii al suo
divino beneplacito, acciò avesse fatto di me ciò che più gli piacesse: «Domine, quid de me vis facere», ripeteva
la povera anima mia, «fiat, fiat voluntas
tua».
Abbandonata che fui nel divino suo bene tutto in lui riposò il mio cuore,
mi fece sperimentare i mirabili effetti del suo parziale amore.
Dal giorno 19 ottobre 1816 fino a tutto il 22 il mio spirito si andò
disponendo al sopraddetto favore. Dio medesimo andava disponendo l’anima in una
maniera molto particolare, trattenendola in replicate cognizioni, ora di se
stessa, ora dell’infinito amore che mi porta. L’anima con santa umiltà si
annientava in se stessa e piangeva i propri peccati, con vivissima contrizione,
che sarebbe stata capace di levarmi la vita, se Dio da questa contrizione non
mi avesse sollevata alla cognizione più alta del suo infinito amore.
Allora l’anima, qual cerva ferita, cercava l’amata fonte del santo amore.
Trovo il fonte dell’acqua viva e là m’immergo, sono sopraffatta dalla piena
delle dolcissime acque. Allora l’anima, ebbria di santo amore, andava
replicando cento e mille volte il dolce suo nome, per dare così qualche
refrigerio a quella viva fiamma, che tutto tutto mi bruciava il cuore.
«Gesù», dicevo con viva espressione, «dolce Gesù, fa’ che ti ami ogni
momento di più». Gesù era nella mia mente, Gesù era nel mio cuore, Gesù era in tutta
me; tutti i sentimenti miei invocavano Gesù: il mio sangue, le mie ossa, le mie
interiora, tutti tutti invocavano Gesù; sicché il dolce eco risuonava
nell’intimo dell’anima mia. La dolce armonia mi fece dimenticare ogni altra
idea, di maniera che più non conoscevo altra parola che il dolcissimo nome di
Gesù, non sapevo più proferire parola che non dicessi Gesù.
In questa guisa andò disponendo l’anima mia alla particolare unione di
sacro matrimonio, come già le aveva promesso. Sicché dal giorno 19 ottobre fino
al dì 23 suddetto, il mio spirito fu assorto in Dio, in una maniera molto
particolare. L’amore grande che mi compartì Dio in questi giorni non mi è
possibile manifestare.
|