Il dì 24 dicembre 1816, vigilia del santo
Natale, la mattina subito levata passai tre ore e mezza in orazioni. In questo
tempo mi preparai per fare una buona confessione. Il Signore si degnò
compartirmi un lume molto particolare di propria cognizione, questa cognizione
eccitò in me un vivo dolore di avere offeso Dio, e piangendo amaramente le mie
colpe, ne domandavo di tutto di vero cuore perdono al Signore.
In mezzo a questa contrizione era molto grande il raccoglimento che mi
comunicò il Signore. Da questo raccoglimento passai in una perfetta quiete, in
un baleno si sollevò il mio spirito, e penetrò un luogo immenso, che io non so
descrivere in nessuna maniera. In questo luogo l’anima mia dolcemente si riposò
nell’immensità di Dio.
Terminata la suddetta orazione, il mio spirito restò tutto assorto in Dio;
poi, secondo il solito, mi portai alla chiesa per fare la santa Comunione. Dopo
la santa Comunione mi fece sapere il Signore che mi fossi preparata, che in
quella santa notte mi voleva favorire con particolare grazia. La dolcezza, la
soavità, il raccoglimento rese estatico il mio spirito.
In questo tempo mi apparvero due Angeli di nobile aspetto e di grado
maggiore di quelli che in altre occasioni si sono degnati favorirmi della loro
presenza e assistenza. Ebbi cognizione particolare, e seppi che quei sublimi
spiriti, che mi avevano favorito della loro presenza in quella santa notte del
santo Natale, erano del settimo coro degli Angeli. I suddetti spiriti celesti
sono destinati da Dio, per particolare privilegio, di proteggere, di custodire
il santo Ordine trinitario. I suddetti Angeli santi disposero il mio cuore a
ricevere il celeste favore. Circa la mezzanotte fui alienata dai sensi, e in
questo tempo Dio si degnò favorirmi la particolare grazia che mi aveva promesso
nella santa Comunione.
Il favore fu molto particolare, motivo per cui non ho termini sufficienti
per poterlo spiegare. Una moltitudine di santi Angeli furono spettatori del
gran favore che mi compartì il Signore, e pieni di ammirazione lo lodavano, lo
benedicevano, e con la povera anima mia si rallegravano, e qual tempio dello
Spirito Santo mi ossequiavano.
Ai loro ossequi quale umiltà profonda sentiva il povero mio cuore,
riconoscendomi per la più vile di tutte le creature che abitano la terra. Si
profondava l’anima nel proprio suo nulla, e piena di gratitudine amava
ardentemente, lodava incessantemente, ringraziava cento milioni di volte il suo
Signore, e con tenerezza di cuore e con dolci lacrime tutta tutta si offriva al
Signore, senza intervallo, senza riserva, ma tutta tutta mi donavo a lui.
In quella santa notte il Signore mi concesse una grazia molto grande, che
io gli chiesi per due religiosi trinitari. Mi promise dunque il Signore che
avrebbe dato grazia ai suddetti religiosi di perseverare nel bene operare fino
alla fine della loro vita, e per conseguenza si sarebbero sicuramente salvati.
La buona notizia della vita eterna dei suddetti religiosi mi apportò somma
allegrezza di spirito.
Dopo aver ascoltato la Messa della mezzanotte, mattina del santo Natale,
volli ascoltare ancora quella del mezzogiorno. A tale effetto, dopo sbrigati
gli affari domestici della mia casa, mi portai alla chiesa con sommo
raccoglimento, godendo ancora di quel bene che il mio Dio mi aveva comunicato
la notte, come si è già detto di sopra.
Fu dunque il mio spirito chiamato a somma attenzione, e riconcentrato in se
stesso intimamente; riconcentrato così profondamente mi si diede a vedere molto
da lungi un prodigioso splendore. Fui invitata ad inoltrarmi. A questo invito
mi fu comunicata particolare penetrazione di intelletto, Dio mi degnò di
particolare intelligenza e mi diede particolare cognizione di se stesso e
dell’infinito suo essere.
Quando l’anima mia si compiaceva infinitamente in Dio e prendeva altissima
compiacenza nell’infinito suo essere, quando ero già immersa in questa infinita
magnificenza, il mio Dio mi obbligò ad abbassare lo sguardo, e mirare questo
mondo sensibile, e mi diede a vedere le grandissime iniquità che in questo si
commettono.
Che indignazione, che iniquità! Mio Dio, datemi grazia voi per poterlo
manifestare, mentre al solo pensarlo io raccapriccio, e si riempie di
confusione ed orrore il mio spirito. Abbasso dunque lo sguardo e vedo Maria
santissima con il suo santissimo Figliolo tra le sue braccia santissime, la
vedo mesta e dolente, la sua mestizia destò nel mio cuore viva compassione e
ardente amore, e mossa da cordiale affetto, domando a lei la cagione del suo
dolore, offrendomi, benché indegna peccatrice, ad ogni sorta di patimenti, per
così dare qualche conforto all’affannato suo cuore.
La pietosa Madre gradì la povera, ma sincera mia offerta, mentre in quel
momento mi sarei data in mano ai più spietati carnefici, acciò avessero fatto
di me il più crudele scempio, per così dare qualche conforto alla mia
amabilissima madre Maria. La divina Madre a me rivolta, così mi dice: «Mira, o
figlia, mira la grande empietà!».
A queste parole vedo che arditamente tentano i nostri apostati di
strappargli arditamente e temerariamente il suo santissimo Figliolo dal suo
purissimo seno, dalle sue santissime braccia. A questo grande attentato la
divina Madre non più chiedeva misericordia per il mondo, ma giustizia chiedeva
all’eterno divin Padre; il quale, rivestito della sua inesorabile giustizia e
pieno di sdegno, si rivolse verso il mondo. In quel momento si sconvolse tutta
la natura, e il mondo perdette il suo giusto ordine, e si formò sulla terra la
più grande infelicità che mai possa dirsi né immaginarsi.
Cosa così lacrimevole e afflittiva che renderà il mondo all’ultima
desolazione. Non posso dir di più. Preghiamo il Signore caldamente, acciò si
degni mitigare verso di noi il suo giustissimo sdegno. Quale timore, quale
spavento mi apportò simile vista non ho termini di poterlo spiegare.
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