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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

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  • PARTE SECONDA – LE NOZZE MISTICHE (Dal 1813 al 1819)
    • 42 – CROCIFISSA DA GESÙ STESSO
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42 – CROCIFISSA DA GESÙ STESSO

 

Il 17 luglio 1817, dopo la santa Comunione, fui sopraffatta da interno riposo, dove mi parve vedere l’amabilissimo mio Gesù, che tutto amore si degnava mirarmi. Mi additò una croce e mi fece intendere che l’infinito amor suo a quella croce voleva crocifiggermi. A questa cognizione la povera anima mia sollecitamente aprì le braccia, e incessantemente pregava il santo amore di Dio, acciò la crocifiggesse come più gli piaceva. Deliberata la mia volontà da forza superiore, fui collocata sopra quella croce suddetta, mi pareva che Gesù Cristo medesimo mi inchiodasse le mani e i piedi. Era tanta la dolcezza e la soavità che il mio spirito esultava in quel patibolo, invece di affliggermi e conturbarmi, lodava e benediceva il mio Signore.

Per mano degli Angeli così crocifissa penetrai gli ampli spazi dell’immensità di Dio, i santi Angeli sollevarono la croce e mi condussero negli amplissimi spazi della divina immensità. Di questo luogo non ne parlo, perché non ho termini di poterlo paragonare a cosa alcuna di questa terra. Solo dirò che dalla croce passai sopra un bellissimo trono. Mi vedevo vestita di ricchissime vesti e adorna di preziosissime gioie. In questo ricco adornamento veniva significato essere l’anima ricoperta dei meriti infiniti di Gesù, per mezzo dei quali l’eterno divin Padre mi rendeva oggetto della sua compiacenza e intimamente a se mi univa e mi faceva divenire una stessa cosa con lui.

In quel momento perdetti ogni idea non solo sensibile, ma ancora intellettuale. Fui sopraffatta da un bene che non so esprimere. Dopo breve tempo tornai in me stessa, e vedendomi tanto favorita da Dio, senza alcun merito, si profondò lo spirito nel proprio suo nulla, riconoscendosi meritevole di mille inferni per tanti peccati commessi. Piangendo dirottamente con abbondanti lacrime, chiedevo misericordia e perdono all’amabilissimo mio Signore, e piena di gratitudine e di amore, lodavo e benedicevo l’infinito suo amore, tanto parziale verso di me, miserabilissima peccatrice.

Si tratteneva nel proprio suo nulla e facendo degli atti interni di fede, speranza e carità, restava la povera anima mia rapita, nel ricordarsi il distinto favore che Dio si era degnato compartirgli si umiliava profondamente.

 




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