Non andò molto a lungo ad avverarsi quanto
mi aveva detto il divino fanciulletto; mentre al dì 24 gennaio 1819 fui
nell’orazione sollevata a penetrare la divina immensità di Dio, dove il
medesimo Dio mi diede cognizioni molto alte dell’infinito suo essere. Mi fece
intendere molte cose riguardanti la sua divina giustizia, mi fece intendere
essere arrivata l’ora che io dovevo molto patire, per la gloria sua, per
vantaggio della santa Chiesa cattolica, per sostenere il Sommo Pontefice e la
santa Chiesa, e per vantaggio dei poveri peccatori. Mi diede a conoscere grandi
cose che io non so ridire, la povera anima mia restò estatica a tante e sì
elevate cognizioni, che il mio corpo perdette ogni sensazione, fui sopraffatta
da un riposo tutto spirituale, che mi alienò dai sensi.
In questo tempo mi apparve Gesù Cristo, e mi invitò a sostenere la fiera
battaglia, mi tornò ad assicurare del suo divino aiuto, mi diede chiarissima
cognizione di quanto avevo da patire per glorificare l’eterno suo divin Padre,
e così placare la sua divina, inesorabile giustizia, che era sdegnata con tutto
il mondo. Mi diede ad un tratto a vedere tutti i tormenti che mi erano
preparati dal nemico infernale, mi diede a vedere come per sua permissione
dovevo patire tutti quei gravi tormenti, senza alcun conforto.
A questa vista, sì terribile e dolorosa, si atterrì il mio povero spirito,
e, pieno di spavento, restò sopraffatto dal terrore di tanti e sì terribili
supplizi. Piena di spavento e di timore, pregavo il mio buon Gesù: «Mio Gesù,
sposo mio, unico conforto dell’anima mia, aiutami per carità! vieni in soccorso
della tua povera serva, non è possibile che io sostenga sì fiera battaglia,
soccorrimi per pietà! aiutami, per carità!».
Ecco che già mi vedevo circondata da ogni sorta di patimenti, mi vedevo in
mezzo ad una voragine di supplizi, di angustie, di desolazioni, di affanni,
quando di nuovo mi apparve il mio Gesù, circondato di splendidissima luce, che
al momento rischiarò le folte tenebre in cui mi trovavo.
«Ah Gesù, sposo diletto dell’anima mia, oh quanto mai mi consola il vostro
glorioso splendore! Oh qual contento mi reca il vostro dolcissimo sembiante,
puro, innocente e modesto! Oh qual gaudio di paradiso inondò il mio cuore! Le
vostre gloriose cicatrici tramandano un odore soavissimo, che ricrea a povera
anima, che poco prima era da tante pene oppressa. Felice mia pena! che tanto
bene adesso mi fai godere. Mio Dio, mio sommo amore, quanto bene mi fai
godere!».
Nella umantà santissima di Gesù Cristo ravviso l’intima unione che passa
tra le tre divine persone. Oh quanto bene conosco un solo Dio in tre divine
persone! Ma questa cognizione oltrepassa il povero mio intelletto, vien meno la
mia intelligenza, e, piena di ammirazione, sento rapirmi lo spirito a sì alto
profondo mistero. Piena di rispetto e riverenza, mi profondo nel mio nulla, e
con la fronte per terra, mi unisco con tutto il paradiso, dicendo: Sancus Deus, sanctus fortis, sanctus
immortalis, miserere nobis.
Dopo di avermi dato a godere bene così straordinario, più non mi ricordavo
il patire che poco avanti avevo sofferto, ma tutta in gaudio era liquefatta la
povera anima, di santo amore avevo ripieno il cuore.
«Figlia», mi sento dire, «figlia diletta mia, mira le grandi offese che
riceve la mia immensità! Se mi ami, offriti a riparare la mia divina giustizia,
levami il flagello dalla mia onnipotente mano, che pieno di furore sono sul
momento di scaricare sopra questo mondo ingrato.
Figlia, io sono la tua ricompensa. Offrirti a patire volontariamente per la
mia gloria, e per adempiere la mia volontà. Figlia cara mi sei, e tu puoi
placare lo sdegno mio. Eccomi, io sono in tuo aiuto, io sono con te, coraggio,
mia cara, coraggio; e se io sono con te, chi sarà contro di te? Chi ti potrà
nuocere? chi ti potrà sovrastare? Quanto onore, quanta gloria mi darai col tuo
patire! Affatìcati di potermi piacere, fidati nel mio potente aiuto, da’
principio alla forte battaglia».
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