Allora il mio pietosissimo Dio prendeva a
confortarmi con farmi sperimentare i suoi distinti favori, chiamandomi con il
dolce nome di sua figlia diletta, mi faceva penetrare la sua divina immensità,
mi degnava dei castissimi suoi amplessi, dei più teneri abbracciamenti, sì che
il mio patire si convertiva in un gaudio di paradiso.
Oh, qual contento provava il mio cuore! non è possibile poterlo spiegare,
quali e quanto erano sublimi le intelligenze di spirito, che si degnava
comunicarmi il divino Spirito, non sono veramente spiegabili, quale scienza mi
veniva comunicata, a quale cognizione era elevata la mia mente dall’onnipotente
ed eterno Dio, che la povera anima mia restava fuori di se stessa, tutta rapita
in Dio, restava tanto innamorata dell’infinito suo essere, che per il grande
affetto si struggeva il mio cuore in lacrime di amore, e per l’intima
comunicazione restavo, per vari giorni, alienata dai sensi, in maniera che non
sentivo, non vedevo, non parlavo, e il mio corpo era del tutto abbandonato come
un corpo morto.
Tra i tanti favori che in questo tempo ricevetti dal mio amorosissimo Dio,
fu di farmi partecipe del sacramento dell’Eucaristia per mano angelica. Tutti i
giorni ricevevo il pane degli angeli, il divinissimo sacramento dell’altare, il
mio Gesù sacramentato, in mezzo a tanti atroci patimenti, non solo sensibili,
ma ancora spirituali dell’anima, soffrendo nel corpo, non meno erano afflitte
le potenze della povera anima mia. Questa soggiacque ad una gravissima
desolazione di spirito, nella immaginativa le si rappresentavano fatti tanto
afflittivi, che il mio povero cuore gemeva e tutto si conturbava.
Quello che in questo tempo io ho sofferto di patimento nello spirito non mi
è possibile manifestarlo, solo nel giorno del giudizio comparirà, alla maggior
gloria dell’onnipotente Dio, perché mentre io, che della sua divina grazia ne
sperimentai i buoni effetti, confesso, con tutta verità e con la bocca sulla
polvere, che senza una grazia particolarissima di Dio non era mai e poi mai
possibile ad una creatura tanto vile come sono io, che mi potesse riuscire di
sostenere una sì spietata battaglia, in mezzo a sì forti patimenti dubitavo di
arrendermi alle voglie dei miei spietati nemici.
Dubitavo di negare la fede di Gesù Cristo, mentre tutta la loro malizia,
tutta la loro barbarie era rivolta contro di me, a questo fine, perché io
negassi la fede di Gesù Cristo, sicché il mio povero cuore esclamava in mezzo
alla desolazione, unitamente al mio caro Gesu nell’Orto: «Dio mio, se è
possibile, trasferisci da me questo calice», ma il conforto che mi dava il mio
Salvatore era che di nuovo mi fossi offerta a maggiori patimenti, per sostenere
la santa Chiesa e tutto il cristianesimo.
«Ah, Gesù mio, non mi abbandonare in mezzo a sì spietata battaglia! Mi
manca la lena di resistere, vien meno la mia misera umanità a tanto patire! Mio
Dio amabilissimo, aiutatemi, non permettete che la vostra povera serva perisca
in mezzo a tanti terribili patimenti di anima e di corpo! Aiuto vi chiedo,
amorosissimo mio Dio, per resistere e per combattere con fedeltà fino alla
fine. E nel vostro santo nome, con la vostra santa grazia possa trionfare di
tutti i miei nemici. Mio Dio, io mi conosco indegna di questo aiuto, ma ve lo
chiedo per la gloria vostra. Io mi sono offerta a patire spontaneamente, è
vero, ma voi, Gesù mio, mi avete detto che mi offrissi insieme con i vostri
meriti al vostro eterno divin Padre. Mi diceste che mi offrissi qual vittima di
riconciliazione, per riparare il suo giustissimo furore, la sua inesorabile
giustizia, giustamente sdegnata con gli uomini».
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