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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE SECONDA – LE NOZZE MISTICHE (Dal 1813 al 1819)
    • 47 – L’EUCARISTIA È IL CENTRO DELLA MIA VITA
      • 1. Un gaudio di paradiso
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47 – L’EUCARISTIA È IL CENTRO DELLA MIA VITA

 

1. Un gaudio di paradiso

 

Dal 18 marzo 1819 fino al 21 giugno del medesimo anno godei di questo bene di celebrare la santa Messa in casa, nella mia cappella, tre volte la settimana, facendo la santa Comunione tutte e tre le volte, mi comunicavo con tanto fervore di spirito e con tanta devozione che tutto il giorno me la passavo in cappella in orazione. I giorni precedenti alla santa Comunione mi trattenevo in cappella per prepararmi a ricevere questo divino sacramento. I giorni che ricevevo questo divino sacramento mi trattenevo in cappella per il rendimento di grazie; sicché tutta la settimana la passavo in lunga ed assidua orazione.

Molte furono le grazie che in questo tempo mi compartì il Signore, per sua infinita bontà; ma per aver trascurato lo scrivere, molte ne passeranno sotto silenzio, non avendo di queste alcuna memoria scritta nel mio stracciafoglio, ossia giornale.

 

In questi quattro mesi di marzo, aprile, maggio e giugno, che si celebrò la Messa nella mia cappella, come si è detto di sopra, molti furono i favori che mi compartì il mio Dio, con l’accordarmi, per mezzo dei miei poveri suffragi, di liberare molte anime dal purgatorio. Tre volte la settimana si celebrava la santa Messa, e tutte e tre le volte mi comunicavo.

Nella santa Comunione ero favorita dal Signore in speciali maniere: ora mi si dava a vedere Gesù Cristo sotto la forma di amoroso pastorello, che tutto amore accarezzava la povera anima mia, che sotto la forma di pecorella la vedevo vincino al suo amato pastore, tutta pura, tutta bella, nel seno amoroso del suo celeste pastore, la vedevo riposare e accarezzandola la stringeva tra le sue santissime braccia, stampando sopra la fronte della sua amata pecorella molti baci, la faceva nel suo castissimo seno riposare. Frattanto che il mio spirito in questa guisa era favorito dall’infinita bontà di Dio, era sollevata la mia mente da pensieri sovrumani, nell’ampiezza dei cieli apprendevo le divine scienze, le alte cognizioni di Dio e della sua infinita immensità.

A quella estasi prodigiosa ascendeva la povera anima mia, quali e quante intelligenze di spirito le venivano comunicate dal divino Spirito! Oh quante lacrime versavano i miei occhi di amore, di tenerezza, di gratitudine, riconoscendomi indegna di questi celesti favori, mi umiliavo profondamente e ringraziavo incessantemente l’infinita bontà del mio Dio, godendo nel mio cuore un gaudio di paradiso.

Tanto erano grandi le cognizioni che Dio mi dava nella santa Comunione, della sua infinita potenza, sapienza e bontà, che passavo l’intere settimane in un certo sopimento di spirito, che mi rendeva affatto il corpo privo di forze, di maniera che dovevo per molti giorni guardare il letto, e, a seconda delle frequenti comunicazioni, soffrivo ancora dei mortali deliqui.

Tanto forte mi si comunicava Dio all’anima, che il corpo restava incadaverito e per vari giorni privo di forze, godendo nell’intimo un bene straordinario, che mi faceva desiderare la mortificazione e la penitenza. Appena mi reggevano le forze, che incessantemente pregavo il mio padre spirituale a darmi la licenza di usare le penitenze che ero solita usare prima di questa malattia; ma la carità di questo mio padre spirituale non mi contentava, ma mi negava la licenza di poter usare ogni sorta di penitenze.

Io mi raccomandavo al Signore e gli dicevo: «Mio Dio, se è vostra ispirazione questo desiderio che io sento in me di mortificare il mio corpo, per vostra gloria e in sconto dei miei gravi peccati, voi, mio amoroso Signore, date lume al mio direttore, perché mi accordi la licenza; ma se non è vostra volontà, allontanate da me questo desiderio».

Ma il desiderio si faceva maggiore, perché ogni giorno più il mio spirito era illuminato per mezzo della grazia e degli speciali favori, che il mio Dio si degnava comunicarmi, per mezzo dei quali riconoscevo l’infinita bontà di Dio e la grande mia ingratitudine. Giusto mi pareva di far penitenza dei miei peccati, per così dare una qualche soddisfazione all’amore tradito, a un Dio offeso.

 




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