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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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4. Il mio paradiso in terra: la solitudine
Questo lume interno della presenza di Dio, mi fa bramare la solitudine, mi fa fuggire ogni sorta di conversazione, benché innocenti, benché sante. La solitudine per me è il mio paradiso in terra, dove trovo ogni delizia, ogni bene. Sì, trovo nella solitudine non solo ogni bene, ma trovo l’autore di ogni bene, trovo il mio Dio, che si trattiene con me all’amichevole, trattandomi con santa confidenza, come si tratta un’amica, come si tratta una sorella, come un padre amante tratta l’amata sua figlia, come un amante sposo ama l’amata sua sposa; in questi termini si degna Dio trattare la povera anima mia nella santa orazione e in altri tempi, che mi occupo negli affari domestici della mia propria casa, varie volte mi è accaduto che, in mezzo alle faccende, il mio Dio mi ha rapito lo spirito e il mio corpo se n’è restato come uno stupido, senza poter più agire, ma tutto attratto si vedeva il mio corpo, perdendo ogni sensazione, restavo per qualche tempo alienata dai sensi, priva affatto di ogni idea sensibile. Ma in questo tempo, che il mio corpo era così alienato dai sensi, cosa mai godeva la povera anima mia di bene spirituale non è veramente spiegabile. Io godevo un paradiso di contenti, per essere in queste occasioni tanto favorita dal mio amorosissimo Dio, ora facendomi penetrare i cieli, dandomi cognizioni molto alte della sua immensità, ora facendomi gustare un bene spirituale tanto grande che assorbiva tutto il mio spirito e inondava il mio cuore di dolcezza di paradiso, che mi faceva gridare: «Basta, non più, mio Dio, io non vi posso più contenere! Basta, mio Dio, non più reggo a tanta dolcezza, a tanta soavità vien meno il povero mio spirito, tanto bene non lo posso più contenere. Mio Dio, voi siete un bene incomprensibile, siete un bene inarrabile, siete un bene sopra ogni bene! In voi solo, mio Dio, trovo ogni mio contento, ogni mia soddisfazione, ogni mia fatica! In voi solo confido, in voi solo spero, mio Dio, mio amore, mio tesoro, mio sommo bene, mio tutto, quando sarà che vi possederò per tutta l’interminabile eternità?». Con questi e simili altre esclamazioni sfogavo gli affetti del povero mio cuore, ferito dal dardo della divina carità, che mi faceva ardere giorno e notte di santo amore. Questo incendio di carità mi faceva struggere e consumare, ora piangendo amaramente e con dirotto pianto e con abbonanti lacrime le offese fatte al mio Dio, ora temendo di perderlo, si struggeva il mio cuore in lacrime di amore, di timore, di dolore; pensavo così: «Fino che avrò vita, sempre sarò in pericolo di perdere il mio Dio, il mio sommo bene; che vita infelice è questa mai!». «Mio Dio», tornavo a ripetere, «mio Dio, mio sommo amore, dunque ti posso perdere durante la mia vita! Mio Dio, levatemi la vita, che sono contenta di perderla mille volte in mezzo ai più spietati tormenti, per il solo timore di perdere voi, bontà infinita!».
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