Questi continui sentimenti erano
accompagnati da una dirotta pioggia di lacrime, che dagli occhi miei si
versavano giorno e notte. Ah, aver goduto tanto bene! ah, aver avuto molto lume
di Dio per conoscere le sue infinite perfezioni; in questa occasione della mia
grave infermità, cagionatami per mezzo di tanti patimenti, che volontariamente
mi ero offerta di patire per amore del mio Dio e per sostenere la santa Chiesa
cattolica e per la conversione dei peccatori, l’aver, in mezzo a tante pene,
gustato un bene infinito, che era il mio Dio, che mi si comunicava all’anima
con tanta chiarezza, con tanta dolcezza, con tanta soavità, che mi pareva
veramente di godere un paradiso di contento, di gaudio, di santo amore, che
tutto tutto m’incendiava il cuore di viva fiamma di carità, e in mezzo a questo
divino ardore, prendevo maggior lena di sempre più patire per amore del mio
Dio, che così voleva che patissi, per il bene della santa Chiesa e per la
conversione dei poveri peccatori.
Mi fece il mio Dio vedere quante anime traviate voleva ricondurre nel
giusto sentiero dei suoi santi comandamenti e della sua divina legge; per mio
mezzo voleva fare quest’opera tanto gloriosa. A questa cognizione, a questa
vista sì mirabile del braccio onnipotente di Dio, che tutto può per mezzo della
sua immensità, si umiliò profondamente il povero mio spirito, e riconoscendomi
affatto indegna, affatto incapace di questa opera sì santa, sì gloriosa, qual è
di condurre all’amoroso seno di Dio le anime traviate, e fare di queste anime
preziosi giardini per deliziare il sovrano re del cielo e della terra, si
confondeva profondamente la povera anima mia e ricusava di accettare l’invito,
ricusava di accettare l’impresa gloriosa; diceva: «Mio Dio, volgete il vostro
sguardo verso tante vostre fedeli spose, che vi amano con tanto amore, queste
sono buone per una simile impresa, io sono la creatura più vile che abita la
terra, io altro non faccio che disonorare il vostro divino onore, che oscurare
la vostra gloria. Allontanatevi da me, mio Dio, che sono una vile creatura, la
più peccatrice, la più indegna».
Macché, a queste parole di eterna verità, il mio Dio più impegnato, più
innamorato di me si dimostrava e con dolci parole così prese a parlare: «Ah,
figlia», mi disse, «allontana da te il soverchio timore! Acconsenti pur di
buona voglia ai miei desideri. Io ti darò la grazia, io ti darò l’aiuto, il mio
braccio forte ti sosterrà. Opera pure per la mia gloria, per il mio onore.
Impiegati in vantaggio dei tuoi prossimi, e vedrai cosa saprà fare il mio amore
per beneficarti. Io sarò sempre con te, e se io sono con te, chi sarà contro di
te? chi ti potrà nuocere? chi ti potrà sovrastare? E per renderi certa che
sempre mi possederai, ecco che nel tuo cure, per mezzo del mio divino amore,
faccio in te una singolare impressione di me».
A queste divine parole cosa mai di prodigioso seguisse in me, io non so
manifestare. Fui sopraffatta da un bene divino che sollevò il mio spirito
nell’altezza dei cieli, dove fui sopraffatta da particolare intelligenza di
spirito e da sovraumane cognizioni, che mi facevano in qualche maniera
conoscere il mio Dio, per quel Dio che egli è: immenso, incomprensibile,
infinito. A cognizione così grande la povera anima era sopraffatta dalla
meraviglia, dallo stupore. Una viva fiamma di carità m’incendiava il cuore, e
intimamente mi univa al mio Dio, che mi perdevo affatto nella sua immensità.
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