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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 50 – VITTIMA DI RICONCILIAZIONE
      • 4. Desidero piacere all’Oggetto amato
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4. Desidero piacere all’Oggetto amato

 

Dal giorno 19 marzo 1820 fino al 19 di giugno del medesimo anno molti sono stati i patimenti, i travagli, le pene, le angustie che ho sofferto nel mio spirito: smarrimenti di spirito penosissimi, desolazioni afflittissime, ma molto grandi furono ancora i favori, le grazie che si degnò Dio compartirmi nei tre mesi suddetti; ma, per aver trascurato lo scrivere, non so precisamente accennare quante misericordie, quanto amore abbia dimostrato alla povera anima mia peccatrice.

Nel decorso di questi tre mesi molto gravosi furono i patimenti di spirito che dovetti soffrire nei nove giorni antecedenti alla festa dei principi degli apostoli, santi Pietro e Paolo, fui sopraffatta da un cumulo di patimenti tanto gravosi, che mi credevo di non poter sopravvivere a sì forti e penosi patimenti. Questo patire era nell’intimo dell’anima, e mi veniva somministrato da un’interna cognizione di me stessa, vedendomi tanto ingrata verso quel Dio infinitamente buono e tanto parziale amante dell’anima mia.

A questo riflesso era tanto il dolore di averlo offeso, che mi pareva veramente di morire per la veemenza del dolore; tra le lacrime e i sospiri mi pareva che il cuore mi si spezzasse in mille pezzi, questo dolore mi faceva agonizzare, ma dolce agonia, dolce patimento, dolce morte, o bella contrizione quanto degna sei di un cuore tutto infiammato di puro e santo amore!

In mezzo a questo dolore, oh come cresceva a dismisura la bella fiamma della santa carità, il santo amore prendeva possesso della povera anima mia e la faceva dolcemente languire di carità. Oh come in mezzo a questo sacro incendio si accrescevano a dismisura i santi desideri di piacere all’oggetto amato. Oh come tutta si trasformava la mia povera volontà nella sua volontà divina! Qual profondo di umiltà non sentiva in se stessa la povera anima mia, e con sentimento verace si conosceva per la più indegna, per la più vile creatura che abita la terra e che non vi sia stata al mondo mai creatura più indegna di me, e che non sia per esservi creatura più ingrata di me.

Da questo sentimento così profondo era l’anima innalzata a contemplare le infinite perfezioni di Dio, la povera anima mia era sopraffatta dall’infinita amabilità del suo amorosissimo Dio, voleva slanciarsi verso di lui, ma il vedermi ricoperta di tante ingratitudini e di tanti peccati non mi reggeva il cuore di inoltrarmi, ma piena di timore e di eccessivo dolore si annientava in se stessa la povera anima mia non ardiva di inoltrarsi, ma il santo timore m’impediva la velocità del mio rapimento, qual pena sia questa io non lo so spiegare, ma mi pare che possa rassomigliarsi a quel veemente desiderio che soffrono le anime del purgatorio, che vorrebbero congiungersi all’amato bene e ne sono dalla giustizia respinte. Non so spiegare invero qual fosse, se il santo timore o il lume della propria cognizione, che sospingeva il povero mio spirito e non mi dava coraggio di inoltrarmi dove l’infinita bontà di Dio si degnava chiamarmi, e, per mezzo della sua santa grazia, innalzarmi a penetrare gli amplissimi spazi della sovrana sua immensità.

Oh come a questo riverbero divino, che tramandava la luce inaccessibile della sua divinità, la povera anima mia si inabissava in se stessa, e, piena di propria cognizione e di santo timore chiedeva all’immenso Dio pietà e misericordia per sé e per tutti i poveri peccatori.

 




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