Dal giorno 19 marzo 1820 fino al 19 di
giugno del medesimo anno molti sono stati i patimenti, i travagli, le pene, le
angustie che ho sofferto nel mio spirito: smarrimenti di spirito penosissimi,
desolazioni afflittissime, ma molto grandi furono ancora i favori, le grazie
che si degnò Dio compartirmi nei tre mesi suddetti; ma, per aver trascurato lo
scrivere, non so precisamente accennare quante misericordie, quanto amore abbia
dimostrato alla povera anima mia peccatrice.
Nel decorso di questi tre mesi molto gravosi furono i patimenti di spirito
che dovetti soffrire nei nove giorni antecedenti alla festa dei principi degli
apostoli, santi Pietro e Paolo, fui sopraffatta da un cumulo di patimenti tanto
gravosi, che mi credevo di non poter sopravvivere a sì forti e penosi
patimenti. Questo patire era nell’intimo dell’anima, e mi veniva somministrato
da un’interna cognizione di me stessa, vedendomi tanto ingrata verso quel Dio
infinitamente buono e tanto parziale amante dell’anima mia.
A questo riflesso era tanto il dolore di averlo offeso, che mi pareva
veramente di morire per la veemenza del dolore; tra le lacrime e i sospiri mi
pareva che il cuore mi si spezzasse in mille pezzi, questo dolore mi faceva
agonizzare, ma dolce agonia, dolce patimento, dolce morte, o bella contrizione
quanto degna sei di un cuore tutto infiammato di puro e santo amore!
In mezzo a questo dolore, oh come cresceva a dismisura la bella fiamma
della santa carità, il santo amore prendeva possesso della povera anima mia e
la faceva dolcemente languire di carità. Oh come in mezzo a questo sacro
incendio si accrescevano a dismisura i santi desideri di piacere all’oggetto
amato. Oh come tutta si trasformava la mia povera volontà nella sua volontà
divina! Qual profondo di umiltà non sentiva in se stessa la povera anima mia, e
con sentimento verace si conosceva per la più indegna, per la più vile creatura
che abita la terra e che non vi sia stata al mondo mai creatura più indegna di
me, e che non sia per esservi creatura più ingrata di me.
Da questo sentimento così profondo era l’anima innalzata a contemplare le
infinite perfezioni di Dio, la povera anima mia era sopraffatta dall’infinita
amabilità del suo amorosissimo Dio, voleva slanciarsi verso di lui, ma il
vedermi ricoperta di tante ingratitudini e di tanti peccati non mi reggeva il
cuore di inoltrarmi, ma piena di timore e di eccessivo dolore si annientava in
se stessa la povera anima mia non ardiva di inoltrarsi, ma il santo timore
m’impediva la velocità del mio rapimento, qual pena sia questa io non lo so
spiegare, ma mi pare che possa rassomigliarsi a quel veemente desiderio che
soffrono le anime del purgatorio, che vorrebbero congiungersi all’amato bene e
ne sono dalla giustizia respinte. Non so spiegare invero qual fosse, se il
santo timore o il lume della propria cognizione, che sospingeva il povero mio
spirito e non mi dava coraggio di inoltrarmi dove l’infinita bontà di Dio si
degnava chiamarmi, e, per mezzo della sua santa grazia, innalzarmi a penetrare
gli amplissimi spazi della sovrana sua immensità.
Oh come a questo riverbero divino, che tramandava la luce inaccessibile
della sua divinità, la povera anima mia si inabissava in se stessa, e, piena di
propria cognizione e di santo timore chiedeva all’immenso Dio pietà e
misericordia per sé e per tutti i poveri peccatori.
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