53 – I SUPPLIZI DEGLI SPIRITI
MALIGNI
Per non mancare all’obbligo troppo
doveroso che mi corre di dare a vostra paternità reverendissima un esatto conto
di quanto segue nel mio spirito, per soggettarmi in tutto e per tutto alla
santa obbedienza ed al savio suo parere e consiglio, mi accingo ad accennare
alla meglio che mi sarà possibile, quali e quanti furono i patimenti interni ed
esterni che dovetti soffrire da questi ministri della potestà infernale, come
ancora degli aiuti speciali che ricevetti dalla divina grazia e i favori
particolari che ricevetti dall’altissimo Dio e con quale misericordia si degnò
sostenere la mia grande miseria e debolezza, che al solo rifletterlo mi serve
di umiliarmi ed annientarmi fino al profondo del mio nulla e di ringraziamento
continuamente l’infinita bontà del mio buon Dio, per avermi di sua propria mano
aiutata e difesa per riportare di questi nemici la compiuta vittoria.
Fu dunque il mio corpo battuto e falgellato con verghe di ferro, e questo
si fece con tanta empietà da quei maligni spiriti che mi parve che mi avessero
infrante tutte le ossa, che solo questo bastava per farmi morire, e al certo
sarei morta, se non avesse dopo di questo accorso Dio medesimo a guarirmi, per
mezzo di luce divina, uno splendore chiarissimo venne ad investire il mio
malmenato corpo, e con il suo splendore contatto immantinente restai sanata e
piena di gaudio di paradiso restò la povera anima mia, dileguandomi la
desolazione e la tristezza.
Dio l’abbracciò e la strinse al castissimo suo seno, e la rese molto più
forte per sostenere la battaglia dei spietati nemici.
In secondo luogo mi diedero un supplizio così barbaro, tutto proprio di
casa del diavolo, che credetti veramente di non poterlo superare, credetti
proprio di morire. Questo fu di mettermi al collo una collana ben grossa di
ferro, e stringerla tanto con tanta crudeltà e barbarie che m’impedì di potere
prendere cibo di sorta alcuna, né prendere neppure una stilla di acqua. Per la
grave compressione mi si inulgirì tutta la gola e la bocca, che muoveva
compassione a chi mi assisteva. Questo supplizio lo patii per lo spazio di otto
giorni, oltre ciò con un crudo ferro mi martirizzavano la bocca e la gola, che
per essere così esulgirita pativo spasimi di morte. Nel vedere che per otto
giorni continui non avevo preso cibo di sorta alcuna, neppure una stilla
d’acqua, con un male tanto grande alla bocca e alla gola, tutti credevano che
non potessi campare, segnatamente il medico dava per disperata la mia
guarigione.
Ma buon per me che la misericordia di Dio vegliava sopra di me: ecco il
solito splendore divino, che tutta tutta a sé mi attrasse, ed immantinente
guarisce tuttti i miei malori e consola e conforta la povera anima mia. Dio mi
parla al cuore e mi chiama «oggetto delle sue più alte compiacenze», e mi
stringe fortemente al suo castissimo seno; e come potrò mai ridire qual fuoco
di carità mi comunicò l’eterno suo amore, qual coraggio mi donò per viepiù
patire per la sua gloria e per il suo onore e per il bene della santa Chiesa e
per la salvezza eterna delle anime dei miei prossimi.
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