2. «Lo vuoi salvo? Salvo l’avrai»
Racconto per obbedienza del mio padre
spirituale un altro fatto che ho trascurato di scrivere, che mi seguì l’anno
scorso 1820. Nel mese di luglio si ammalò un padre di famiglia, persona molto
benestante di un paese vicino a Roma, mio conoscente, e molto bene affetta mi
era tutta la sua famiglia, dai quali avevo ricevuto molte carità. Mi scrissero
dunque la loro grande afflizione per la malattia del loro genitore. Mi
dispiacque veramente la loro afflizione e da miserabile peccatrice lo raccomandai
caldamente al Signore.
Si degnò Dio, per sua infinita bontà, di darmi una interna illustrazione,
dove mi fece conoscere la sua giusta determinazione, che era per questo uomo
giunto il termine della sua vita e che doveva morire. A questo interno
sentimento non potei replicare, ma dovetti umilmente adorare i giustissimi
decreti di Dio, padrone assoluto di tutte le sue creature, le quali senza
replica devono obbedire al loro Creatore.
Non potendo pregare per la salute del corpo di questo infermo, pregai
caldamente per la sua salute eterna, ed in questa orazione mi avvidi del
bisogno che aveva questa povera anima. Ed intanto ricevevo lettere di molta
premura tanto dai parenti dell’infermo, quanto da una loro e mia amica dello
stesso paese. Questa mi scriveva con grande impegno e mi informava delle grandi
orazioni che si facevano per ottenere la salute di questo infermo. Mi credetti
in dovere di scrivere a questa mia buona amica e le dissi che tutte le orazioni
che facevano fare, le avessero rivolte all’eterna salute di questo infermo, che
io da miserabile peccatrice mi sarei unita alle loro fervide preghiere, le
quale puntualmente eseguii.
Conosciuto dunque il bisogno di quest’anima, mi misi di proposito a
pregare. Stetti tre ore in orazioni, dalle ore venti fino alle ore ventitré del
giorno di venerdì, nel qual giorno il suddetto infermo rese la sua anima a Dio.
Stando in orazioni Dio, per sua infinita bontà, si degnò sollevare il mio
spirito, dove mi fece vedere la discussione della causa di quest’anima ed il
terribile giudizio che era di perdizione. A questa funesta nuova, non so
spiegare qual fosse l’impegno che intese il povero mio spirito per ottenere a
questo infelice la grazia. Piansi amaramente, pregai con tutto il fervore, mi
offersi a patire, perorai di tutto cuore per la sua gran causa, per ottenergli
la vita eterna per mezzo degli infiniti meriti di Gesù Cristo.
Ero fuori di me stessa per il dolore e per l’afflizione, ciò nonostante
pregavo incessantemente con abbondanti lacrime e con affannosi sospiri.
Proseguivo la preghiera, quando ad un tratto si sopì il mio spirito, e mi parve
in quel tempo di trovarmi davanti al grande tribunale di Dio, dove vedevo
quest’anima tutta tremante e confusa per il grande rendimento di conti che
doveva fare a Dio, sommo giudice e testimone di tutta la sua vita, di passa
settanta anni.
Vedevo dunque il sommo giudice sdegnato, il suo santo Angelo custode che
teneva un piccolo libricciolo nelle sue mani, che stava tutto mesto e dolente,
che non aveva coraggio di aprire. Vedevo poi un arrogante demonio, che teneva
un grandissimo libro nelle sue mani, e con somma audacia e superbia pretendeva
di aprire il grosso volume davanti a questo infelice che stava pieno di terrore
e spavento; il povero mio spirito se ne stava profondato nel suo nulla, quanto
mai afflitto e pieno di spavento nel vedere questo gran fatto, ma la
compassione e la carità mi diedero coraggio. Piena di lacrime mi rivolsi a
Maria santissima e al suo santissimo Figliolo. «Ah Gesù mio», gli dissi, «non
condannate quest’anima, ve ne supplico per la vostra passione e morte e per i
dolori della vostra santissima Madre, vi prego, per la vostra infinita bontà,
di volermi ricordare la promessa che mi avete fatta di salvare tutti quelli che
mi avessero fatto del bene. La vostra parola non può mancare, in voi confido,
in voi spero, Gesù mio, questo è un mio benefattore, salvatelo per carità, ve
ne supplico per il vostro preziosissimo sangue. Io so benissimo che non merito
questa grazia, ma la vostra parola non può mancare. Oggi è venerdì, giorno nel
quale voi avete sparso tutto il vostro prezioso sangue, e che perdonaste un
ladro, salvate adesso quest’anima, Gesù mio, non la giudicate, nel vostro santo
nome salvatela».
Con queste ed altre simili parole pregava la povera anima mia. Ma chi lo
crederebbe? Oh infinita bontà di Dio, veramente incomprensibile, il mio buon
Gesù si degnò rispondermi: «Figlia, la tua preghiera fa violenza al mio cuore,
lo vuoi salvo? lo avrai».
Nel sentire proferire queste parole dall’umanità e divinità santissima di
Gesù Cristo, credetti veramente di morire, parte per la grande consolazione,
parte per il profondo rispetto e venerazione. Non sto qui a dire tutti i santi
affetti di cui fu in un momento ricolma la povera anima mia, la gratitudine
grande verso il mio Dio, la profonda umiltà nel vedere esaudita la povera mia
preghiera, una consolazione di spirito che mi faceva struggere in lacrime di
santo amore. Non finirono qui le mie consolazioni, volle Dio, per sua infinita
bontà, farmi vedere il compimento della grazia, col farmi assistere di presenza
all’infinita sua misericordia.
Ecco dunque che si viene alla finale sentenza, ecco che vedo Gesù Cristo
cinto di gloria e di maestà, seduto sopra splendide nubi, tutto raggiante di
splendida luce, corteggiato da molti santi e da innumerabili schiere angeliche.
Vi era Maria santissima tutta ammantata di chiarissima luce, corteggiata da
molte sante vergini.
Vidi poi presentare la suddetta anima per essere giudicata. Il sommo
giudice Gesù Cristo ordinò che si presentasse il suo processo. Un santo Angelo
prese il gran libro dalle mani del suddetto demonio e lo presentò al sovrano
giudice, il quale prese un sigillo e lo pose sopra la cicatrice del suo divino
costato, il sigillo restò tinto del suo preziosissimo sangue e sopra quel gran
libro impresse tre sigilli. Con questo venne a significare che per grazia non
voleva giudicare questa anima, ma la voleva salvare per mezzo della sua
infinita misericordia, senza giudicare la sua causa.
Impressi i tre sigilli, ordinò ad un altro santo Angelo che lo avesse
annegato nel mare immenso della sua divina misericordia. Annegato che fu il
libro, quest’anima ricevette l’eterna benedizione, e come potrò io ridire di
qual gaudio di paradiso fu ricolmo il povero mio spirito, quanto mai mi
consolai nel Signore, quali e quanti mai furono i miei ringraziamenti non mi è
possibile il poterlo esprimere. Restai fuori di me stessa, per il grande
stupore nel considerare l’infinita bontà di Dio. Non mi pareva di credere a me
stessa, mi struggevo in lacrime d’amore e di tenerezza, lodavo e benedicevo il
mio Dio.
Volle il Signore darmi un altro attestato di sicurezza dell’eterna salute
di questo defunto: circa le ore ventitré i parenti fecero benedire da un
religioso francescano l’infermo agonizzante con la reliquia di san Francesco.
Il figlio si tratteneva in ginocchioni ai piedi del letto del padre,
raccomandandosi al Signore. Aveva l’infermo attaccato sopra il suo
inginocchiatoio, accanto al letto, un piccolo quadruccio con l’immagine del mio
Gesù Nazareno. Il suddetto giovane, guardando questa santa immagine, la quale
pregavo incessantemente in questo tempo, vide con sommo suo stupore che la
sacra immagine, sciolta la mano, rivolta verso il padre moribondo, si degnò
dargli la santa benedizione. Il giovane restò estatico, e fuori di se stesso,
nel vedere un simile prodigio.
Venendo in Roma, di sua propria bocca mi fece questo racconto, e mi disse
di non poter fare questo racconto senza sentirsi tutto commuovere da santi
affetti. Mi disse ancora che questo fatto fu tanto chiaro che non avrebbe avuto
difficoltà di contestarlo. Questo giovane credo certo che non sia capace di
dire una menzogna, essendo persona di buona vita e molto dedito alla pietà,
avendo ancora la matura età di anni 35, essendo già padre di cinque figli. Io lo
pregai di non manifestare questo fatto, ma tenerlo occulto, per quanto gli
fosse possibile, che le grazie del Signore ci devono rallegrare e consolare in
Dio medesimo.
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