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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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3. I parenti ministri del demonio
Proseguo il racconto. La potestà delle tenebre vedendosi vinte ed oppresse da una povera donnicciola come sono io, ognuno può immaginare quale potesse essere la loro rabbia ed il loro sdegno contro di me. Questa superba potestà dovette tornare all’inferno, e invece di riportare il trionfo dovette tornare piena di vergognosa confusione, e a suo marcio dispetto doveva confessare l’onnipotenza di Dio, che sa trionfare sopra le sue creature e in un istante sa umiliare e confondere la diabolica malizia. Il vedere una vile creaturella peccatrice, come sono io, vedermi vittoriosa della loro crudeltà, la somma facilità che Dio mi diede, la potestà che il Signore mi compartì per tutti a me assoggettarli e tutti fugarli e nuovamente rilegarli nel cupo abisso dell’inferno, ognuno potrà tirare la giusta conseguenza, qual potesse essere la loro rabbia contro di me. Non potendomi più perseguitare né offendere di propria mano ricorsero ad un’altra malizia per fare l’ultimo tentativo, per vedermi almeno storpia o ridurmi in un fondo di letto. Si servirono del mezzo dei miei parenti con l’accrescimento della forte tentazione che dava loro contro di me. Questi dunque, come furiosi ministri, volevano venire all’esecuzione di legarmi crudelmente con quelle suddette corde diabolicamente intessute, con violenza mi si fecero addosso, e la surriferita donna, più tentata degli altri contro di me, mi si avventò alle gambe e calcandole con tanta forza che le ossa fecero un crocchio tanto forte, che la mia figlia credette che mi si fossero rotte tutte e due le gambe. Questo mi apportò un grande dolore, e se non fosse stata la grazia di Dio, le gambe sarebbero sicuramente restate rotte. Mentre io intesi infrangermi le ossa, uno dei miei fratelli mi si fece addosso, prendendomi con gagliardia e spietata forza per le braccia, scuotendomi con tanta violenza che fu un vero prodigio di Dio che non me le rompesse. Oltre la grande scossa che ne soffrì tutta la mia macchina, con tutto questo io sempre mi feci forte invocando l’aiuto del mio crocifisso Signore, unendo alle sue pene le pene mie, tenendolo sempre non solo nel cuore, ma ancora lo tenevo sempre nelle mie mani, il crocifisso mio bene, dove trovavo in questi gravi travagli tutto il mio grande conforto, benché più volte con disprezzo me lo facessero cadere in terra, con grave pena del povero mio cuore. Io chiaramente distinguevo che questo era l’ultimo sforzo di Satanasso, e che quelli erano fortemente tentati contro di me, sicché, invece di sentire sdegno contro di loro, io ne sentivo compassione, e compativo i maltrattamenti che mi davano, non sentendo il minimo rancore contro di loro. Per ribattere dunque la loro tentazione, presi un’aria di contegno, ed intanto non lasciavo di raccomandarmi al Signore. In questo tempo, alla presenza di tutti, feci leggere ad una delle mie figlie la passione di Gesù Cristo, e così, in queste gravi pene, andavo pascolando il mio povero spirito perseguitato ed oppresso da tutta questa turba di parenti, che in questo giorno si erano nella mia casa tutti radunati, a caso, senza sapere l’uno degli altri. Loro credevano una casualità, ma io ben sapevo che non era casualità, ma un’arte diabolica di averli nella mia casa condotti, perché non potendomi più perseguitare di propria mano, era il demonio ricorso alla tentazione per farmi rovinare nell’anima e nel corpo. Non sto qui a dire quanto grande fosse la confusione che seguì fra loro, per la diversità dei sentimenti, mentre altro non si cercava, sotto un apparente bene, che la totale mia rovina. Cosa veramente da compatirsi e non da biasimarsi, mentre non erano loro che mi maltrattavano, ma la forte tentazione che li subornava. Cosa potrò dir mai della donna di servizio che, tentata più degli altri contro di me, faceva maggior confusione, riportando ciarle del tutto inventate non solo nella propria mia casa, ma ancora nelle altre case. E così più che mai si accrescevano le forti confusioni, sempre a mio danno ordite. Non intendo per questo pregiudicare il mio prossimo, perché conosco molto bene che tutti erano allucinati dalla forte tentazione.
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