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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 58 – TI FARÒ PARTECIPE DELLA MIA POTESTÀ
      • 1. Volevo tacere per non essere molesta
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58 – TI FARÒ PARTECIPE DELLA MIA POTESTÀ

 

1. Volevo tacere per non essere molesta

 

Riprendo il filo del racconto. Come poc’anzi ho detto, stetti altri quindici giorni guardando il letto. Il mio padre spirituale per sua bontà ogni giorno mi favoriva a celebrare la santa Messa, e mi somministrò in questi giorni la santissima Comunione. Dovevo guardare il letto più per la continua alienazione dei sensi che per la naturale debolezza per le grandi e continue comunicazioni celesti e speciali favori di Dio.

Si degnava Dio trattenere la povera anima mia in certi colloqui con la sua divina sapienza, ma così belli, ma così alti ed eleganti che l’anima ne restava rapita e santamente innamorata, godendo un bene di paradiso. Restava estatica e tutta assorta in Dio per le alte cognizioni che riceveva, che se in quel tempo avessi potuto scrivere, avrei detto grandi cose riguardanti l’infinita bontà di Dio, molto profittevoli e di molta consolazione per le anime che si danno alla vera sequela di Gesù crocifisso.

Oh quanto sono ricche quelle anime che abbandonando il mondo e la sua vanità, disprezzando se stesse. Cercano solo, con l’esercizio delle sante virtù, imitare l’umanato Signore e, per quanto sia possibile, copiare in se stesse i propri suoi lineamenti e del crocifisso, loro maestro, essere perdute amanti. Questa è la vera ricchezza, questa è la vera scienza, questa è la nostra vera, verissima nostra felicità.

Riprendo a raccontare come passai i suddetti quindici giorni che dovetti guardare il letto, alla meglio che mi sarà possibile, proseguirò a manifestare i divini favori ricevuti, così porrò fine a questo mio racconto, riservandomi, in fine di questo, di manifestare altri patimenti sofferti in tempo della mia grave tribolazione poc’anzi detta, volendoli a bella posta tacere per non essere tanto molesta a chi legge, nel sentire tante barbare sciagure, che mi pare si renda impossibile che si possano credere da chi legge e da chi ascolta. Eppure la tribolazione fu assai più maggiore di quello che possa mai da me dirsi, perché mi mancano i termini per poterlo spiegare. Dio solo, che si degnò assistermi ed aiutarmi, lui solo comprende quanto fosse il mio patire nella sua totalità.

Volevo dunque occultarli, ma per espresso comando del mio padre spirituale mi conviene narrarli alla meglio che so e posso del che farò in fine di questo racconto dei surriferiti quindici giorni.

 




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