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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 58 – TI FARÒ PARTECIPE DELLA MIA POTESTÀ
      • 2. Avrai parte nel mio regno
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2. Avrai parte nel mio regno

 

Il giorno 21 febbraio 1821 nel prepararmi per fare la santa Comunione, mi diede Dio a godere nell’intimo dell’anima mia un gaudio, una dolcezza straordinarissima, tutta propria del paradiso. Trovandomi immersa in questo gran bene, chiedevo con tutta l’effusione del mio cuore al mio Dio, di tornare per amor suo a patire nuovamente tutto quello che negli scorsi giorni avevo di già patito e sofferto, mentre era tanto grande l’amore e la carità che sentivo verso il mio Dio, che mi pareva poco quello che avevo sofferto e patito. Chiedevo con somma ansietà di viepiù patire per amor suo.

 

Piacque tanto a Dio questo mio desiderio che così si degnò parlarmi: «Mia dilettissima figlia, oggetto delle mie più alte compiacenze, inòltrati senza timore nei più ampi spazi della mia divinità. Il mio amore ti trasse dal tuo proprio nulla per unirti perfettamente, per via d’amore e di compiacenza, alla mia divinità. Compiaciti dunque, o figlia, di godere di questo gran bene che ti somministra la mia medesima umanità divina. Ecco l’amor tuo per la mia grazia fin dove giunse! Morta a te stessa risorgi per me a una nuova vita. Tertia die resurrexit a mortuis. Avrai parte nel mio Regno ed intanto in terra ti farò partecipe della mia potestà. La mia potenza, la mia sapienza, la mia bontà in te voglio magnificare, per dimostrare l’amore che ti porto. Per mezzo della mia grazia sei divenuta terribile all’inferno, e alla tua voce la potestà delle tenebre resterà confusa e il suo orgoglio resterà da te, in mio nome, vinto e soggiogato, giacché per mezzo della mia grazia arrivasti tanto oltre che potesti levarmi dalla mano il terribile decreto».

A questi amorevolissimi tratti dell’infinita bontà del mio Dio, qual fosse il profondo della mia umiliazione non mi è possibile il poterlo ridire. Non trovavo termini sufficienti per potermi inabissare nel proprio mio nulla, per quanto era grande il sentimento di propria cognizione. Con abbondanti lacrime ed intima sommissione esprimevo il vivo sentimento del povero mio cuore al mio amorosissimo Dio, mostrandogli il mio amore e l’ardente mio desiderio di compiacere in tutto e per tutto la sua santissima ed amabilissima volontà.

In questi sentimenti amorosi passavo dal mio letto le intere giornate, godendo un bene che mi rapiva il cuore e mi teneva tutta assorta in Dio.

Per non dissipare il mio spirito, in questi quindici giorni me ne stavo sempre chiusa all’oscuro senza ricevere nessuno, fuorché quelle persone che erano di pura necessità, servendomi a bella posta del mezzo termine della debolezza per godere nella solitudine e nella quiete di quel bene che mi veniva somministrato dalla grazia di Dio in larga copia.

 




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