Il giorno 21 febbraio 1821 nel prepararmi
per fare la santa Comunione, mi diede Dio a godere nell’intimo dell’anima mia
un gaudio, una dolcezza straordinarissima, tutta propria del paradiso.
Trovandomi immersa in questo gran bene, chiedevo con tutta l’effusione del mio
cuore al mio Dio, di tornare per amor suo a patire nuovamente tutto quello che
negli scorsi giorni avevo di già patito e sofferto, mentre era tanto grande
l’amore e la carità che sentivo verso il mio Dio, che mi pareva poco quello che
avevo sofferto e patito. Chiedevo con somma ansietà di viepiù patire per amor
suo.
Piacque tanto a Dio questo
mio desiderio che così si degnò parlarmi: «Mia dilettissima figlia, oggetto
delle mie più alte compiacenze, inòltrati senza timore nei più ampi spazi della
mia divinità. Il mio amore ti trasse dal tuo proprio nulla per unirti
perfettamente, per via d’amore e di compiacenza, alla mia divinità. Compiaciti
dunque, o figlia, di
godere di questo gran bene che ti somministra la mia medesima umanità divina.
Ecco l’amor tuo per la mia grazia fin dove giunse! Morta a te stessa risorgi
per me a una nuova vita. Tertia die
resurrexit a mortuis. Avrai parte nel mio Regno ed intanto in terra ti farò
partecipe della mia potestà. La mia potenza, la mia sapienza, la mia bontà
in te voglio magnificare, per dimostrare l’amore che ti porto. Per mezzo della
mia grazia sei divenuta terribile all’inferno,
e alla tua voce la potestà delle tenebre resterà confusa e il suo orgoglio
resterà da te, in mio nome, vinto e soggiogato, giacché per mezzo della mia
grazia arrivasti tanto oltre che potesti levarmi dalla mano il terribile
decreto».
A questi amorevolissimi tratti dell’infinita bontà del mio Dio, qual fosse
il profondo della mia umiliazione non mi è possibile il poterlo ridire. Non
trovavo termini sufficienti per potermi inabissare nel proprio mio nulla, per
quanto era grande il sentimento di propria cognizione. Con abbondanti lacrime
ed intima sommissione esprimevo il vivo sentimento del povero mio cuore al mio
amorosissimo Dio, mostrandogli il mio amore e l’ardente mio desiderio di
compiacere in tutto e per tutto la sua santissima ed amabilissima volontà.
In questi sentimenti amorosi passavo dal mio letto le intere giornate, godendo
un bene che mi rapiva il cuore e mi teneva tutta assorta in Dio.
Per non dissipare il mio spirito, in questi quindici giorni me ne stavo
sempre chiusa all’oscuro senza ricevere nessuno, fuorché quelle persone che
erano di pura necessità, servendomi a bella posta del mezzo termine della
debolezza per godere nella solitudine e nella quiete di quel bene che mi veniva
somministrato dalla grazia di Dio in larga copia.
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