Il giorno 22 febbraio 1821, la divina
sapienza prosegue a parlare con la povera anima mia, manifestandomi cose degne
della sua infinita grandezza, ma non posso dare di queste ragguaglio, perché
precisamente non le ricordo. Solo accennerò i sentimenti vivi dell’anima che,
sopraffatta dalla divina carità, si tratteneva ai piedi della croce, parlando
con il crocifisso suo bene, sapienza infinita.
L’anima mia, ebbra di santo amore, così esclamava piangendo e sospirando, chiedeva
all’amato suo Signore di patire, così gli diceva: «Con te voglio, o Signore,
portare la mia croce e nella tua doglia atroce io ti voglio seguir. Ma troppo
inferma e lassa, donami tu coraggio in questo alto e arduo viaggio della mia
eternità. Dubito di smarrirmi sul monte del dolore, ma il tuo santo amore mi
riempe di speranza il cuor. Col tuo prezioso sangue già mi segnasti i passi che
io devo camminar. Dunque ché più tardare? Sopra il Calvario io per suo amore
crocifissa voglio morire. Ricevi intanto, o mio Signore, la forte brama di
questo mio cuore, che fedeltà torna a giurar. Non che potranno né affanni, né
pene mai dividermi dal sommo mio bene, creature tutte, intendetemi bene, quello
che amo è il mio Gesù. Né terra, né mare, né il cupo infernale dividermi mi
possono dal mio Gesù. È tanta la fiamma che mi arde nel seno che l’alma vien
meno languire la fa. Oh croce, oh chiodi, oh spine, non più tardate a farmi
morir». Con queste ed altre amorose espressioni la povera anima mia sfogava
l’ardente brama di patire per amore
del suo Dio crocifisso.
Non tardò punto l’amato Signore a dare amoroso riscontro all’anima della
sua gratitudine, così prese a parlare: «Qual contento mi dài, o diletta mia
figlia, nel vederti presso di me, scevra affatto di ogni altro amore e di ogni
affetto. Qual contento dài al mio cuore, di quanta compiacenza mi sei. Io saprò
ben premiare il tuo amore».
A queste amorose espressioni viepiù si accresceva la brama di patire. La
mattina seguente quando mi favorì il mio padre spirituale, per celebrare nella
mia cappella la santa Messa ed insieme somministrarmi la santissima Comunione,
che io dal mio letto, priva di forze ricevevo: «Padre mio», gli dissi, «mi
faccia la carità, nel santo sacrificio della Messa di questa mattina, torni
nuovamente ad offrirmi al Signore. Ratifichi di bel nuovo la mia offerta a Dio,
gli dica pure da parte mia che se è di suo piacere e di sua soddisfazione di
vedermi patire, io sono pronta per compiacerlo fino da questo momento, di
tornare a patire non solo tutto quello che ho sofferto e patito negli scorsi
giorni, ma ancora di più».
Il mio buon direttore molto si meravigliò ed insieme si rallegrò di vedere
in me tanta fortezza e prontezza di patire per amore di Dio e in vantaggio del
mio prossimo. Ne ringraziò e ne diede lode a Dio, il quale per sua bontà si
degnava darmi tanta grazia. Mi promise di farlo con tutto l’affetto del suo
cuore. Io gli soggiunsi che avesse nella cappella bruciato sopra del fuoco un
poco di zucchero, che io intendevo di struggermi, per amore del mio Dio, come
incenso sul fuoco. Così si fece. Nel tempo che si innalzava quel fumo, il mio
spirito godeva una dolcezza, una soavità propria di paradiso, che mi ricreò
l’anima e il corpo.
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