Scrivo altri tre fatti seguitimi nel
surriferito tempo della grave mia battaglia, come nei passati fogli ho già
detto. Mi accingo a darne il ragguaglio, alla meglio che potrò, a gloria di Dio
e per obbedienza.
Mi apparve nella mia camera un demonio sotto la forma di incantatore, e
nella mia medesima camera faceva il diabolico incantesimo. Io mi protesto di essere
digiuna affatto di questa malizia, né so se si faccia così l’incantesimo per
mai aver parlato, per mai aver veduto né letto simili cose. Si presentava
dunque nella mia camera un uomo di alta statura accompagnato da altro demonio
sotto la forma di ragazzo, il quale portava una saccoccia dove vi erano tutti
gli ordigni per fare l’incanto. Scioglieva la detta saccoccia e somministrava
di mano in mano quello che l’incantatore gli richiedeva. Gli ordigni erano un
libro che si metteva a leggere con voce molto bassa, leggendo con somma fretta,
segnando di tratto in tratto il libro con il suo piccolo bastone, che teneva
sempre nelle mani. Una tromba artificiale che allungava e scortava a suo
talento, ponendola alla sua bocca, dopo che l’aveva molto distesa parlava in
quella tromba con voce molto sommessa, che io non sentivo le parole che diceva.
Volgendo la tromba ai quattro angoli della mia camera, diceva altre parole, poi
seguitava a parlare sempre per mezzo di quella tromba con voce molto bassa. Un
fischio che di tratto in tratto lo poneva nella sua bocca, e il trillo di quel
fischio era tanto acuto e forte, che stordiva e mi offendeva l’orecchio e mi
dava una grande afflizione di spirito. Con il bastone faceva un segno rotondo
in terra, a guisa di cerchio, nel mezzo del quale faceva mettere il suddetto
ragazzo il quale faceva dei gesti, degli atti con le mani e con i piedi che io
non sapevo cosa significassero.
L’incantatore tornava a prendere la detta tromba, distendendola parlava or
qua or là sempre con voce bassa. L’altro strumento era una caraffa di
cristallo, ma io questa non so descriverla per essere fatta di una fattura e in
modo tutto ritorto. In questa caraffa, poneva della stoppa mescolata con altra
roba oliosa, l’accendeva e la poneva dentro alla caraffa la quale aveva delle
aperture, a guisa di sfiatatoi per i quali tramandava un densissimo fumo.
Questa operazione seguiva sempre di notte.
La detta diabolica operazione dava tanto pena al mio spirito, che non ho
termini di poterlo spiegare. Mi pareva di perdere il raziocinio, restavo tanto
confusa e ottenebrata, con tanta pena ed afflizione, che mi trovavo quasi del
tutto smarrita. Terminato l’incantesimo, costui se ne partiva senza proferir
parola di sorta alcuna, fuori di quello che aveva detto nella tromba, come ho
già detto.
Era tanto grande la pena che mi recava questo diabolico patimento, che al
solo vedere l’incantatore, quando si presentava nella mia camera, mi levavo
tutta in gelido sudore di morte dalla testa fino ai piedi. Questa era una pena
che io non saprei a qual pena rassomigliarla, era proprio una pena infernale.
Oltre di ciò, le funeste conseguenze che portava questo diabolico incantesimo.
Mi si presentavano alla vista le cose più tragiche, afflittive, funeste e
luttuose. Mi pareva di vedere le mie due figlie date in preda al libertinaggio
e alla dissolutezza. Le vedevo danzare con giovani libertini, che le volevano
sedurre, e tante altre funestissime rappresentanze, tutte ordite a bella posta
alle gravi offese di Dio, tutte tendenti ad oltraggiarlo ed avvilire la sua
santità, la sua divina sovranità, la sua onnipotenza.
Qual patimento, quali afflizioni ne provava il mio spirito non è di mente
umana il poterlo comprendere. Qual pena mi recassero queste magiche, diaboliche
rappresentanze, che ad altro non tendevano che ad offendere il mio amato
Signore, al quale io sempre e poi sempre e perennemente facevo ricorso,
invocando con molta fiducia il suo divino aiuto.
Non erano vane le mie speranze, né restava delusa la mia fiducia, ma
prontamente Dio benignamente mi faceva sperimentare il divino soccorso, senza
del quale mi si rendeva affatto impossibile il sostenere le diaboliche frodi
contro di me in simil guisa ordite. Per mezzo di questa diabolicha frode mi
comparivano molti spiriti maligni, sotto la forma di religiosi, di sacerdoti,
di persone di carettere insigne e tutti mi persuadevano a non farmi tanto
tormentare, e che avessi piegata la fronte ai loro voleri. Mi dicevano che non
apparteneva a me il sostenere la santa Chiesa cattolica, ma che spettava al
capo visibile di essa, e che era cosa molto ingiusta il tanto patire per quello
che a me non spettava e non mi apparteneva, e che avessi lasciato questo arduo
assunto, questa difficile impresa.
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