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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 59 – DOVE GIUNSE L’ARTE DIABOLICA
      • 4. Mi portò nell’Orto di Getsemani
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4. Mi portò nell’Orto di Getsemani

 

A queste parole il benedetto Signore conduceva la povera anima mia nell’Orto di Getsemani. «Non temere», mi diceva il buon Gesù, «non temere, o mia diletta figlia, il giusto furore dell’eterno mio Padre, perché non è sdegnato con te. Fatti coraggio, ed impara da me a sostenere con fortezza di spirito e veracità di cuore, e con perseveranza finale, grazie al mio divino aiuto sicuramente riporterai la compiuta vittoria, e potrai godere di quella immortale corona che ti ho preparata per tutta l’interminabile eternità. Godrai il premio delle tue fatiche e di quella fedeltà che mi giurasti. Io sono il tuo premio, io sarò il tuo gaudio eterno e l’eterna tua felicità».

Le cognizioni di questo bene eterno davano alla povera anima mia coraggio ben grande ed un desiderio veemente di darsi in braccio ai più gravosi patimenti, conoscendo chiaramente che non può compararsi ogni sorta di patimento a confronto di premio così grande. In questa guisa chiedevo al mio Dio di patire per adempire in tutto e per tutto la sua santissima volontà, e lo pregavo incessantemente con umile preghiera a somministrarmi forza ed aiuto e perseveranza fino all’ultimo respiro della mia vita.

Furono veramente questi giorni per me amarissimi, per vedermi perseguitata dalla divina giustizia. Altro conforto non avevo che di ritirarmi nel mesto orto di Getsemani, ad imitazione del mio amabilissimo Gesù, soffrendo in unione di lui quei travagli e quelle ambasce di spirito, mestizia e desolazione afflittissime che lo fecero sudar sangue.

Questi gravissimi patimenti interni resero cagionevole ancora il mio corpo per molti giorni. L’infinita bontà di Dio, vedendomi ridotta all’ultimo conflitto che mi pareva di tratto in tratto di agonizzare, con interni aiuti mi confortava e consolava facendomi conoscere che il mio spirito non era oggetto di sdegno, ma di somma sua compiacenza. Mi faceva intendere che caro gli era il mio sacrificio, mentre dettato era dalla sua divina sapienza, che sa, per mezzo di tenui cose, riparare il furore della sua divina giustizia, grazie alla sua infinita misericordia.

 




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