Il giorno 25 aprile 1821, si raccolse il
mio spirito nelle orazioni, e mi parve di trovarmi nuovamente in
quell’amenissimo giardino anzidetto, dove mi parve di vedere la gran Madre di
Dio con il suo santissimo figliolo.
Al solo vedere questi divini personaggi, credetti di perdere la vita, per
il profondo ed umile rispetto e grande venerazione che sentivo nel mio cuore,
che prostrata al suolo con la fronte per terra, annientata in me stessa, piena
di lacrime, ricolma di santi affetti, mi mancavano gli accenti di proferir
parola; ma la pietosa Madre, conoscendo il mio grande timore, mi fece coraggio
e si degnò approssimarsi verso di me, e conducendomi con lei in una parte
superiore e molto più amena di quel medesimo giardino, dove la povera anima mia
ricevette grazie e favori molto particolari dall’umanità santissima di Gesù
Cristo, che quivi era assiso, vicino ad una bellissima e chiarissima fonte, il
chiarissimo splendore che tramandava dall’ombra del suo santissimo corpo,
rendeva piacevole questo ameno soggiorno, che rapì il mio spirito in guisa tale
che io non ero più in me stessa, ma tutta assorta in Dio.
Estatica restai senza avvedermi qual grazia mi comunicasse Dio, perché fui
sopraffatta da amoroso deliquio; ma conoscevo di essere tutta immersa in Dio, e
godevo nell’anima un immenso gaudio di paradiso. Sentivo nell’intimo del cuore
dolce voce, che mi parlava così: «Inoltrati viepiù, o diletta mia figlia, non
ti arrestare alla chiarezza del mio splendore. Sono un Dio grande ed
incomprensibile è vero, ma sono amante
delle mie creature. Il santo timore ti arresta, ma l’eccesso dell’amor mio a me
ti avvicina. Vieni, vieni senza timore, mentre, per via di trasformazione,
io mi compiaccio di intimamente unirti alla mia immensità, così diverrai una
stessa con me, partecipando del mio infinito essere».
Qual nube candida, percossa dai benefici influssi del sole di giustizia, ad
un tratto mi vidi tutta raggiante di luce e medesimata mi vidi, in un istante,
in quella grandissima luce inaccessibile. Quale stupore e qual meraviglia
recasse al mio spirito, qual profonda umiltà, qual gaudio di paradiso, qual
scienza si degnò Dio di infondere nell’anima, affinché potesse contemplare le
sue divine perfezioni.
Queste divine cognizioni destarono nell’anima una semplicità, una purità
proprio angelica, una pazienza ed una mansuetudine tanto perfette, che io non
so neppure spiegarlo. Un aborrimento poi tanto grande a tutte le cose del
mondo, un desiderio grandissimo di piacere solo al mio amorosissimo Dio, a
costo di ogni mio grave patimento, non solo, ma una brama di patire per amor
suo ogni sorta di avvilimento e travaglio.
Oh come si faceva sentire la viva fiamma della santa carità nel povero mio
cuore. Oh come ne prendeva il possesso. Oh come si impadroniva di tutta l’anima
mia, di tutte le mie potenze, di tutti i miei affetti, in una parola di tutta
me stessa, in certa maniera che non so spiegare; ma come io non fossi più
padrona di me, ma solo lo Spirito del Signore arbitro fosse in tutto e per
tutto, senza più potermi né negare né oppormi all’amabilissima volontà del mio
Dio. Questa cognizione mi era di sommo contento e di grande consolazione.
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