Il giorno 12 maggio 1821, stando in
orazioni fui sopraffatta da interno raccoglimento e da una quiete di spirito
molto particolare.
In questo tempo mi parve di trovarmi in una amena campagna, dove vedevo un
prato deliziosissimo di verdeggianti erbe e tutto smaltato di bellissimi fiori.
Vedevo nel suddetto prato molte anime sotto il simbolo di pecorelle, le
quali erano tutte intente a pascolare quelle preziose erbe. Non mancavano
queste di invitarmi, e replicando più volte i loro inviti, affinché andassi con
loro a gustare e a godere l’amenità di questo smaltato prato; ma la povera
anima mia, che sotto l’immagine di pecorella la vedevo, questa ricusando con
dolcezza i loro inviti, se ne andava verso il bosco, e salendo un erto monte,
sterile affatto di ogni pascolo, solo ripieno di triboli e spine, non altro
cercando che l’amato pastore, ricusando ogni altro sollazzo, per trattenersi
con lui da appresso, e per non gustare altro cibo che quello del pane di vita
eterna, che somministrato gli è stato per ben altre volte dal divino pastore.
Solinga dunque me ne stavo nel deserto, sfogando gli amorosi affetti del mio
povero cuore. Mi protestavo veracemente di non volere altro che stare al fianco
del mio caro ed amato pastore. Rinunciavo a questo oggetto ogni consolazione,
ogni soddisfazione, ogni sorta di onori e di piaceri, benché leciti e santi,
solo cercando di soddisfare l’oggetto amato, protestandomi di essere questo
l’unico scopo dei miei desideri, di stare a lui vicino per divenire una stessa
con lui e per potere copiare in me le sue divine virtù; per essere, per mezzo
della sua divina grazia, un perfetto modello del tutto simile al mio amato
pastore.
Gli dimostravo l’affetto più grande, più vivo che ardeva nel mio cuore. In
questa guisa ero tutta intenta a rintracciare le sue pedate.
Ecco ad un tratto vedo l’amato pastore che seduto se ne stava sopra un
greppo.
A questa vista quanti fossero i santi affetti che assaltarono il mio cuore
non è possibile il poterlo esprimere.
Il divino pastore amorosamente mi invitò a riposare con lui ed a gustare di
quel pane che famelica mi dimostravo di volere. Andava dunque anelante la
pecorella al suo pastore, e piena di gaudio e di contento si protestava di
tenere per bene impiegate le fatiche che le costava di averlo ritrovato. Con
molte sante espressioni, e più con gli affetti del cuore, che somministrati mi
venivano dalla carità, ebbra di santo amore accettava l’invito dell’amato
pastore.
Oh carità grande dell’amorosissimo Dio! Riposar mi faceva nel suo
castissimo seno, e mi dava a mangiare di un pane bianchissimo che teneva nelle
sue santissime mani. Era tanta la gioia ed il contento che godevo nell’anima,
che dubitavo di perdere questo gran bene che avevo ritrovato per pura
misericordia di Dio. Riconoscendomi affatto indegna di favore sì segnalato,
pregavo il divino pastore che permesso non avesse di mai e poi mai potermi
allontanare da lui, nonché diffidassi del suo amore infinito; ma, bilanciando
la mia grande viltà e miseria, dubitavo di allontanarmi dall’amor suo.
Con sentimento il più verace e con l’affetto il più vivo d’amore, gli
dicevo: «Mio caro ed amato pastore, vi prego di togliere alla vostra pecorella
quella libertà che gli donaste, e renderla impossibilitata affatto di potersi
da voi allontanare. Rinuncio alla mia libertà, alla mia volontà, per compiacere
la vostra amabilissima e per me sempre gratissima volontà». E, sopraffatta da
un profluvio di lacrime, dicevo: «Chi mi assicurerà di stare sempre con te, tu
solo puoi rendermi sicura con un solo atto della tua volontà». Ma chi lo
crederebbe che l’amore suo passasse tanto oltre? Per vedere contenta e sicura
la povera anima mia, il buon pastore pose la sua mano destra sopra il mio
dorso, e con accenti amorosi così mi parlò: «Vivi sicura, da me non ti
allontanerai mentre la libertà di partir da me tu più non hai».
Assicurata di poter fare con il mio amabilissimo Signore la permanenza,
dolce sonno mi rapì, ed in braccio al mio amato pastore dolcemente e soavemente
riposai e nel sonno desideravo di non svegliarmi mai più.
Non sto qui a raccontare i buoni e santi effetti che nel mio povero spirito
cagionò questo favore, per non essere tanto molesta a vostra paternità
reverendissima con tanto tedio, mentre a me manca la maniera di spiegarmi, per
la mia ignoranza e a vostra reverenza non manca intelligenza per conoscere gli
effetti mirabili della grazia.
Dal 12 maggio fino al giorno 30 detto 1821, il mio spirito, assistito dalla
grazia divina, ha sempre procurato di mantenere le buone e sante impressioni
che aveva ricevuto negli anzidetti favori e grazie che il Signore, per sua
infinita bontà, si è degnato compartirmi con l’esercizio delle sante virtù e
con il raccoglimento interiore e con la retta intenzione di piacere solo al mio
Dio, in tutte le cose, non curando cosa alcuna della terra, e se permesso mi
fosse vorrei dire neppure del cielo, ma solo il mio impegno era ed è essere
perduta amante dell’eterno suo amore, in questo solo si diffonde il povero mio
spirito di compiacere la sua santissima volontà, senza cercare il mio proprio
interesse, ma la sola sua gloria.
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