Questa verace mia confessione, ad altro
non servì che per mia maggiore confusione. Invece di punirmi e castigarmi, come
in quel mcmento avrei desiderato, viepiù l’amante Signore dimostrava la sua
alta compiacenza verso il povero mio cuore. Tornò a mostrarmi il pannolino,
tutto segnato del suo prezioso sangue, e svolgendolo e risvolgendolo ora da una
parte ora dall’altra, viepiù lo stringeva nelle sue santissime mani, e con
affetto al suo santissimo petto lo stringeva, dimostrandomi così il suo santo
amore e la sua particolare compiacenza, se lo poneva ora sopra il suo dorso,
ora sopra il suo collo, finalmente se lo pose sopra il suo adorabilissimo e
divinissimo capo, come un prezioso diadema.
Mio Dio, e come mai io potrò ridire qual fosse la mia ammirazione, la
grande confusione che mi sprofondò nel proprio mio nulla, e piena di lacrime,
andavo ripetendo: «Oh amore, oh eccesso incomprensibile di carità! e come mai
io ti potrò riamare?Mio Dio, vi offro il vostro medesimo amore».
In quel tempo che Dio si degnava trattenersi in questa santa compiacenza
con la povera anima mia, le andava di tratto in tratto dicendo delle parole, le
più dolci, le più espressive, ora chiamando la povera anima mia «oggetto delle
sue più alte compiacenze», ora col nome di «cara sua amica», ora di «diletta
sua sposa», ora di «sua bella e cara colomba» ed altre simili espressioni del
santo e puro suo amore.
Oh quanto mai la povera anima mia restò umiliata, annientata in se stessa,
e sprofondata nel cupo abisso del suo proprio nulla; ma in questo annientamento
di se stessa, quanto mai restò innamorata di Dio e delle sue infinite perfezioni
non è in vero possibile il poterlo spiegare, non mancandogli in quei preziosi
momenti lume ben grande di rettitudine e di giustizia che le faceva conoscere
la grandezza dell’infinito amore di Dio e la sua carità, e il mio grande
demerito di ricevere le sue grazie.
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