4. Il mio cuore nelle sue mani
Il giorno 22 luglio 1821, mi seguì nella
santa Comunione lo stesso fatto che mi seguì il giorno 4 luglio del medesimo
anno 1821, vale a dire 18 giorni dopo.
Mi si fece vedere nuovamente Gesù Cristo che teneva il mio cuore nelle sue
mani santissime, e compiacendosi di vedere il mio cuore che era tutto
innamorato della sua divina bontà, lo stringeva amorosamente nelle sue
santissime mani, e con trasporto d’amore, ora lo poneva nel suo santissimo
cuore, stringendolo con trasporto d’affetto, ora poneva il mio cuore sopra il
suo santissimo dorso, compiacendosi, quale amoroso pastore, di tenere sopra le
sue santissime spalle, l’amata sua pecorella che tante fatiche le costò per
possederla.
Finalmente poneva il mio cuore sopra il suo adorabilissimo capo; con la sua
onnipotenza formò del mio cuore un prezioso diadema, e di questo ne cinse il
suo santissimo capo.
Qual profondo di umiltà e di annientamento recassero al povero mio spirito
questi amorosi trasporti dell’infinita bontà di Dio, io non so ridirlo, né ho
termini sufficienti di spiegarlo. Dal profondo del mio nulla, così prese a
parlare il povero mio spirito, ma senza strepito di sensibili parole, col solo
affetto del cuore diceva così: «Ah mio amorosissimo Gesù, basta, non più!
Troppo si confonde il mio povero spirito. Io manco e non reggo a questo grande
eccesso del vostro divino amore. Ah, Gesù mio, come voi potete compiacervi
tanto di possedere il mio cuore tanto ingrato. Ah, che io non reggo all’eccesso
del vostro santo amore. Basta, non più! Che voi mi vedrete morire, per il grave
dolore che io sento di avere offeso la vostra infinita bontà. Il vostro grande
amore rimprovera la mia grande ingratitudine. Gesù mio, soccorretemi, io manco,
io muoio per il dolore di avervi offeso. Il mio cuore eccolo avanti a voi, o
mio Dio, tutto disfatto in lacrime di tenerezza e di esuberante amore, perché
con il vostro divino contatto reso lo avete tanto flessibile e molle, che a
guisa di dolcissimo liquore inonda tutto il mio spirito, facendomi provare i
salutari effetti di una vera contrizione. Io più non reggo né posso più
contenere gli effetti prodigiosi della vostra santa grazia».
In questa maniera si andava struggendo e quasi a disfarsi del tutto la
povera anima mia nel suo proprio nulla. Quando l’anima si era del tutto
inabissata nel suo nulla, Dio, per sua bontà, la fece dolcemente riposare nel
suo castissimo seno, dove trovai ogni bene, così stimabile, così amabile, così
inalterabile, che con tutte le immaginabili espressioni del mondo, non si può
ridire, né con qualunque bene del mondo si può al certo paragonare, un bene
così grande, tutto spirituale, tutto essenziale, che rapisce l’anima e la
rende, in quei felici momenti, come beata in questa terra mortale. Il mio
scarso talento non ha termini di potersi altrimenti spiegare.
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