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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

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  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 62 – RIPARARE IL DANNO ETERNO DI TANTE ANIME
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62 – RIPARARE IL DANNO ETERNO DI TANTE ANIME

 

Il giorno 8 dicembre 1821, festa dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima sempre Vergine, nella santa Comunione, dopo aver ricevuto questo divino sacramento eucaristico, questo celeste pane di vita eterna, con profonda umiltà e con sincero affetto mi riconoscevo indegnissima di sì alto favore. Ero profondata nel proprio mio nulla, tutta intenta a piangere le gravi mie colpe e le enormi mie ingratitudini.

Io dicevo: tanto ingrata verso Dio e Dio tanto liberale e benefico verso di me. A confronto così dissonante si struggeva il mio cuore in lacrime d’amore, di gratitudine e di dolore per averlo tante volte offeso. Con fermo proposito promettevo al mio Dio di amarlo e servirlo con ogni fedeltà e con tutta l’ampiezza del mio povero cuore e con tutta l’estensione dell’anima mia.

Nel tempo che stavo così concentrata e che l’anima mia si deliziava con il suo Dio sacramentato, tenendolo nel mio petto lo stringevo al cuore con sommo affetto e mi compiacevo di offrirgli tutta me stessa senza intervallo, senza riserva. Nel tempo dunque che mi trattenevo in santi colloqui con il mio Dio, tutti diretti alla mia eterna salute, mi sento dire nell’intimo dell’anima: «Mira, o figlia, quanto è disprezzato il mio amore da questi uomini ingrati!». Volgo lo sguardo e vedo ad un tratto tutta le iniquità che inondano la terra, tutte le indignazioni che si commettono contro l’infinita maestà di Dio. Oh come restò la povera anima mia addolorata ed afflitta, che si annientò nel proprio suo nulla confondendosi altamente per vedere tanto offeso ed oltraggiato Dio. Tutte queste indignazioni io le vedevo molto da lontano, ma bene distinguevo un immenso popolo che, dato in preda alla dissolutezza e ad ogni sorta di iniquità, correvano tutti dietro alle loro passioni pervertendo le massime del santo Evangelo, mettendosi sotto i piedi la santa legge di Dio e i suoi santi comandarnenti, calcandoli con sommo disprezzo e con orgoglio ben grande.

Vedevo Dio sdegnato per questo che, a mano armata, voleva punire la loro baldanza e la loro temerarietà e sfrontatezza. Mosso Dio dal suo giustissimo furore, con colpo di spada tagliente voleva nel mondo scaricare il funesto colpo dell’irritato suo sdegno col far piombare sopra questi temerari un severo castigo.

Aveva già misurato il colpo, quando la povera anima mia, spettatrice di questo funesto fatto, accesa di carità verso il mio prossimo, mossa dalla compassione, per non vedere una simile strage, piena di spavento e di terrore insieme, per vedere Dio sdegnato, ciò nonostante la fraterna carità vinse il grave mio timore. Spiccai quasi un rapido volo e mi presentai avanti al mio Dio, e con umilissima preghiera e profondissimo rispetto mi presentai genuflessa al suo augustissimo trono, il quale mi abbagliava la vista per la sua immensità, e così lo pregai: «Mio Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, abbiate pietà di noi, miseri peccatori. Protector noster, aspice, Deus, respice in faciem Christi tui. Mio Dio, Padre delle divine misericordie, non ci abbandonate al furore della vostra inesorabile giustizia, noi meritiamo il flagello, è vero, per la nostra iniquità, ma vi prego di ricordarvi che Gesù Cristo è morto in croce per noi».

 




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