Nel tempo che ero sopraffatta dallo
stupore, alla considerazione dell’infinita bontà di Dio, che mi arrossiva e
confondeva per la mia grande viltà e scelleratezza, sentivo ancora grandissima
pena che un Dio d’infinita maestà si trattenesse in luogo tanto vile ed
abbietto, quanto è la povera anima mia.
Il mio Dio, per sua infinita bontà, si degnò di sollevarmi da questo
profondo annientamento, che mi recava tanta pena e tanta afflizione.Così si
degnò Dio di parlare alla povera anima mia, che stava gemendo fra mille affanni
e pene: «Figlia», mi disse Dio, «figlia amata, figlia, solleva la tua mente,
rallegrati con l’infinita mia bontà.
Dà uno sguardo all’anima tua: io l’ho formata mio tempio, mia abitazione, osserva, quale edificio io
la formai». A queste parole, fisso lo sguardo della mente e vedo un tempio,
un edificio così bello, che io non ho termini per poterlo spiegare, non so se
tempio o edificio possa chiamarsi cosa così bella, che con parole non si può
spiegare, io la chiamerò opera grande della mano onnipotente di Dio, procurerò,
per mezzo della grazia del Signore, di fare di questo edificio che io vidi, la
descrizione, alla meglio che potrò, ma
conosco bene che mi mancano i giusti termini per poterlo indiziare.
Questo era un fabbricato quadrato ed insieme rotondo, dentro il quale vi
erano innalzate e stabilite preziose colonne, di una pietra tanto bella che io
non saprei a qual pietra assomigliarla. Erano queste colonne nel numero di
dodici, erano così ben disposte in simmetria, che io restai incantata nel
rimirarle; il cornicione di questo fabbricato era tanto bello che non so
descriverlo. La sommità di questo non aveva soffitto, ma era tutto aperto che
si vedeva il cielo in molta vicinanza. Ma il più bello, il più nobile, il più
vago ed amabile che vi era in questo luogo era Dio medesimo che, con grande
magnificenza, si tratteneva nel mezzo del suddetto tempio, nella cui sommità se
ne stava assiso sopra la sua gloria, sostenendosi senza alcun punto di
appoggio.
Qual meraviglia, quale stupore, quale contento arrecò al mio cuore, vedere
il mio Dio assiso sopra la sua gloria, nel mezzo del tempio, sostenendosi da se
stesso, con la sua onnipotenza. Ben si avvide Dio dello stupore che ne aveva
concepito il mio spirito restato estatico nel vedere tanta magnificenza: «Non
ti stupire, o figlia», mi disse Dio io non ho bisogno di un sostegno, né di
punto di appoggio; ma io sono il sostegno stesso!».
A queste parole, illuminato il mio spirito da questa verità, mi umiliai
profondamente e, con grande copia di lacrime, confessai la mia grande
ignoranza.
Una moltitudine si santi angeli si trattenevano ai piedi di quelle colonne,
stavano tutti genuflessi, con sommo rispetto e riverenza, lodando e benedicendo
Dio, mostrando insieme la loro ammirazione nel vedere l’opera del Signore. Il
mio spirito, non meno di questi spiriti celesti, si annientava e umiliava
profondamente, sopraffatto da tanta magnificenza, sentivo un amore grande verso
il mio Dio e insieme di dolore, per
averlo offeso.
Nel tempo che mi struggevo in lacrime, per i santi affetti che uniti
insieme facevano prova di levarmi la vita in ossequio al mio Dio, io non so
come fosse, né saprei certamente ridirlo, stando in questi umili ossequi e
profondo abbassamento di tutta me stessa, mi trovai alla sommità della gloria
di Dio, ai suoi piedi santissimi, sotto la forma di tenera agnelletta. Da qual
timore fui sopraffatta nel vedermi tanto vicina al mio Dio, che piena di santo
timore mi nascondevo fra gli splendori della sua medesima gloria, per non
essere da Dio, né dai santi angeli, osservata, tanto era il mio abbassamento,
annientamento e propria cognizione, che in mezzo a tanta magnificenza altamente
mi confondevo e profondamente mi umiliavo; ma come questo favore non bastasse a
dimostrarmi l’amore che mi porta Dio, benché io ne sia tanto indegna ed
immeritevole, volle per eccesso della sua infinita bontà, volle farmi un altro
favore, ed è che, presa nelle sue santissime braccia la piccola agnelletta, la
strinse amorosamente al castissimo suo seno, dopo averla così teneramente
abbracciata, la bendò con le sue mani e la condusse con lui, portandola nelle
sue santissime braccia, le fece trapassare i cieli, io niente vedevo, per
essere così bendata nell’intelletto, ma godevo un bene nell’anima tutto proprio
di paradiso, una profonda umiltà, una semplicità di spirito, una purità di
mente, un’ardente carità verso il mio Dio, che non ho termini per poterlo spiegare.
Si degnò Dio di attingere l’agnelletta in certe preziose acque e di propria
mano lavarla, e poi condurmi in altro soggiorno, così mi disse: «Figlia, ringrazia l’infinito mio amore che
gratuitamente in questo giorno ti fa degna di sì alto favore, sappi che ti
degno di passare ad un alto grado di perfezione».
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